di ROBERTO PISANI – Il problema ambientale c’è ed è vivo ormai da anni, anche se viene trattato, tra l’altro solo per cronaca, solo dopo eventi drammatici, quali alluvioni, tempeste di vento, frane ecc..
Credo però che per trattarlo come si deve, cercando di fare delle critiche costruttive e non limitandosi a dire che è cambiato il clima, si deve analizzare il problema partendo dai cinque grandi ecosistemi di cui la Padania è formata, ossia la pianura, la montagna, la collina, le grandi città e i corsi d’acqua (fiumi, laghi e torrenti).
Premetto: io non sono un geologo ma un semplice osservatore sia del territorio sia della politica ambientale.
Sì perché, e spero di riuscire a spiegarlo, se esiste un vero attore responsabile in questa vicenda è proprio la politica, un filo conduttore che ci porterà lungo tutto questo percorso di analisi che ha l’intento di far emergere tutta la responsabilità che ha avuto in questi anni e che ci ha portato a questa situazione.
Proprio nel tentativo di sviscerare bene il problema ho deciso, in accordo con la redazione, di suddividere in più parti questa analisi che verrà pubblicata in diverse puntate, per non risultare troppo lungo e noioso.
Lo so che, non essendo un tecnico, rischio di inerpicarmi su un sentiero alquanto scivoloso e pericoloso, però come insegna la saggezza popolare, a volte vivere i territori ed ascoltare chi li ha vissuti prima di te può essere più importante di un diploma e trecento libri.
1- La pianura
Se si parla di Padania viene quasi naturale partire dalla pianura.
Terra di vocazione agricola, e lo si può facilmente constatare dal fatto che, non appena si esce dalle grandi città, ci si trova immersi in campi dalle colture più svariate e da allevamenti di bestiame. Però non sono tutte rose e fiori per gli agricoltori, come potrebbe pensare chi, da osservatore poco attento e a volte invidioso, li vede vivere a contatto con natura e godere di quel territorio che noi, nelle nostre gite fuori porta, andiamo a cercare.
La vita dei campi è dura, molto dura, e a volte economicamente non retribuita abbastanza. Credo che più a meno tutti, o quasi, ci ricordiamo della vicenda delle quote latte, per esempio. Allevatori e produttori che sacrificano tutta la loro vita per questo mestiere (le vacche da latte, ricordo, vanno munte due volte al giorno per 365 giorni l’anno, Natale, Pasqua, ferragosto compresi) per poi trovarsi con dei limiti di produzione pro capite che li costringe, per evitare snzioni, a buttare il prodotto in eccesso.
È chiaro che a loro quel latte costa, su di esso vengono ripartite le spese di tutta la loro azienda, e, gioco forza, si trovano nella condizione di caricare sulla quota di latte che vendono il costo del loro lavoro. A questo punto però subentra il mercato che impone i prezzi per cui sono costretti a risparmiare per poter far quadrare i bilanci.
E come? Semplice si tagliano le spese assumendo personale a basso costo, a volte al limite dello sfruttamento oppure non eseguendo, o eseguendoli più di rado, quei lavori di manutenzione che gravano sui bilanci, e tra questi spesso la pulizia dei fossi di scolo.
Ed ecco che quando piove ci troviamo le strade allagate.
E nella stessa situazione si trovano non solo gli allevatori e i produttori di latte ma anche i loro colleghi coltivatori, con un’aggravante: per loro le spese sono parte integrante del loro lavoro e devono essere affrontate al momento opportuno, e non quando si vuole. E mi riferisco alla concimazione, per esempio. Quella va fatta quando bisogna farla, che ce lo si possa permettere o no. E come fare resistere alla tentazione di utilizzare i fanghi provenienti dagli inceneritori che vengono regalati ai coltivatori,che anzi a volte addirittura pagati per spargerli nei propri campi?
Si ma la politica cosa c’entra in tutto questo?
Beh, secondo me bisogna fare una piccola premessa: tutti coloro che come me sono un po’ attempati ricorderanno che in passato esisteva un partito ambientalista, anzi due, che avrebbero dovuto occuparsi di politica ambientale. Invece, alla lunga, tutto hanno fatto fuorchè quello, schierandosi più a sinistra di tutti i partiti di sinistra, come se gli ambientalisti fossero tutti comunisti mentre gli imprenditori cattivoni ed inquinatori fossero legati all’antica borghesia di destra che pensa solo a spartirsi guadagni e se ne frega se la classe operaia muore.
Risultato: spariti!
Ma non solo in Padania, ovviamente, esistevano dei partiti politici ambientalisti: l’esempio più classico era il Belgio dove il loro partito dei verdi era molto radicato ed aveva un forte seguito.
Al momento unico barlume in Germania dove all’ultima tornata dove i Verdi hanno ottenuto il 18% diventando il secondo partito, anche se hanno cavalcato in campagna elettorale anche loro una politica antifascista invece di una politica ambientale, ma tant’è, sono affari dei tedeschi.
Ecco cosa può fare la politica: può, anzi deve, intraprendere una vera e sana politica ambientale, permettendo agli agricoltori di svolgere il loro mestiere senza mettere loro tra le gambe lacci e laccioli che frenano il loro lavoro. Questo chiedono. E se lavorano sereni sono i primi ad avere interesse a pulire i fossi di scolo in modo da evitare le inondazioni delle strade, perché il terreno è il loro. E sono i primi a coltivare biologicamente e a non sversare fanghi nei terreni perché quella roba la mangiano anche loro e i loro figli.
E invece? Invece qua si preferisce parlare di immigrazione, parlare dell’invasione africana, minacciare falsi provvedimenti che si sa da subito non realizzabili, sventolare la bandiera della paura del diverso invece di toccare temi reali.
Incapacità? Approssimazione?
Ma no, semplicemente campagna elettorale senza fine, sperando che non piova.