La maggior parte della mia generazione dopo il 45 non può avere idea diretta della guerra se non da racconti raccolti in casa dai genitori o parenti. Non è stato così per me. Il mio papà bersagliere reduce della guerra e testimone diretto dei continui bombardamenti notturni sulla città di Torino dove prestava servizio, ha finito per passare il resto della sua vita inchiodato su una carrozzina. Nelle lunghe sere invernali mi raccontava le tragedie, le disperazioni, gli affanni, della popolazione; la mia curiosità giovanile quasi morbosa era di sapere, sapere… il sonno mi coglieva quando i bombardamenti erano cessati e la città in fiamme, i bersaglieri davano man forte ai pompieri per prestare aiuto alla città. In tenera età ho vissuto i drammi della guerra, è per questo che da tempo mi attivo con scritti su questi drammi che il mondo sta vivendo.
Come sapete, ho vissuto in Parlamento, conosco personalmente ministri di peso di questo governo, più di una volta ho scritto loro per cercar di far capire quello che, stando rinchiusi nella torre d’avorio, non percepiscono. Ho degli amici che per garantire la dignità della famiglia prestano la propria opera nell’assemblare strumenti di morte; assurdo, inconcepibile; mi sono reso conto che la mia voce è fievole, la voce dei mercanti di armi è dirompente come gli esplosivi e pensare che ci sarebbero mille cose da fare non per i militari ma per i civili, partendo da quella bellissima frase di Papa Francesco che quasi sul letto di morte si auspicava di “Disarmare le parole (in particolar modo dei capi di Stato), le menti (dei guerrafondai), la terra (tutta invitata a una pace perpetua per il bene di tutti)”.
Oggi più che mai è necessario resistere alla cultura della guerra. Ho sempre più l’impressione che in troppi stiano vivendo un proprio delirio militare e di deriva verso la guerra: lo si vede dai numeri. L’Unione Europea approva investimenti miliardari sul riarmo e spinge le singole nazioni a destinare il 5% del PIL alle spese militari. Una follia, soprattutto per i paesi già fortemente indebitati come l’Italia.