Scrive Ilvo Diamanti nell’ultimo sondaggio su Repubblica che il ponte sullo Stretto “disegna una mappa dove coabitano diverse Italie… diverse. Che segnano i cambiamenti avvenuti rispetto al passato. L’aspetto che colpisce (almeno, dal mio punto di vista) riguarda il protagonista di questo progetto. Matteo Salvini. Leader di un partito che, in origine, era Lega-to al Nord. O, almeno, ai Nord. Il Nord-Est post-Dc: Liga Veneta. E il Nord-Ovest. Metropolitano”.
“Oggi quella divisione non esiste più. Si è dissolta. Insieme alla Liga (che, in effetti, ancora resiste, trainata da Zaia). E alla Lega Nord. Di Bossi e Maroni. Scomparsa insieme ai leader. Così resta e resiste la Lega nazionale di Salvini. Che, però, fatica a superare… il Ponte sullo Stretto”.
I dati dicono che non è la priorità per nessuno. Tranne che per il ministro delle Infrastrutture. La politica è polarizzata, con il centrodestra che ovviamente sostiene il progetto, e il centrosinistra che… neanche morto.
Tra Nord e Centro Nord, al massimo si va dal 24 al 28% di consenso, nel Centro Sud si va dal 25 al 31%, in Sud e Isole uno striminzito 31%. Neppure dove l’opera dovrebbe coinvolgere i residenti Salvini riscuote successi.
La narrazione è quella dei 110mila posti di lavoro, del Nord che lavorerà di più grazie al ponte.
I dati intanto ci raccontano di spiagge vuote d’estate, di crisi del ceto medio, di inflazione che erode il potere d’acquisto e rende chi lavora più povero.
La Lega nata per “liberare” il Nord, sparita dopo la detronizzazione di Bossi, a meno che si voglia credere che i barbari sognanti l’abbiano salvaguardata, ora pianta pilastri in Sicilia. Rischiando di finirci “cementata” dentro.
Onorevole Roberto Bernardelli, fondatore Patto per il Nord
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