di BENEDETTA BAIOCCHI – Il giorno prima Umberto Bossi, davanti alla detronizzazione di poteri che il congresso aveva sancito nei suoi confronti (sulle espulsioni la sua parola avrebbe contato come il due di picche), aveva attaccato la linea salviniana, peraltro accolta all’unanimità. E aveva detto:
“La Lega è nata per ridare la libertà al Nord, che è schiavo e paga trecento miliardi all’anno di residuo fiscale. La nostra resta una battaglia per far finire questa schiavitù. Comunque il problema non sono le bandiere del Sud a Pontida, il punto è che il Nord non può vincere le elezioni raccogliendo voti qua e là. E basta sovvenzionare il centralismo romano, o termina quello o lo faremo terminare”. Lo affermava Bossi alla vigilia di Pontida al quotidiano Nazionale, attaccando sul carattere nazionale della Lega di Matteo Salvini:”Non può essere, finché ci sono io non c’è niente di nazionale, esiste solo il nazional-padano. Il Nord è contro quel che è italiano”. “Mi hanno tolto potere all’interno del partito – fa quindi sapere l’ex Senatur -. Evidentemente faccio ancora paura”.
Poi però, il giorno dopo, sul palco di Pontida, Bossi di questo non fece cenno. Salvini aveva replicato che lui, Matteo, aveva fatto prendere più di voti di Bossi alla Lega. Invece, dal palco, la questione dei voti, il Senatur la tarava sull’altro Matteo, Renzi, al quale mandava a dire che… ” i voti non sono niente anche in democrazia, se non sono finalizzati a cambiare il Paese. Se il Paese resta sempre uguale, allora non sono importanti i voti”. “Noi – diceva Bossi – non chiediamo i voti per i voti ma per fare le riforme e cambiare il Paese. Spero che la Lega sia ancora così”.
Calderoli, intanto, diceva che in Libia era pronto un cammello ad accogliere la Boldrini. A noi sembra che il foglio di via lo avessero dato al Senatur. Anziché nel deserto libico, nel deserto politico di quel che è rimasto della sua prima Lega. Sarà ancora così?