Vi spiego meglio quei Watussi censurati da Facebook: specchio di una società ipocrita e malata terminale

watussidi GIOVANNI POLLI – Qualche anno fa, con l’arrivo di Laura Boldrini alla presidenza della Camera e di Kashetu Kyenge al ministero per l’Immigrazione, in Italia andò al potere, in modo indiscutibile e conclamato, la “correttezza politica” nella sua forma più virulenta e pervasiva.
Diversi siti internet, tra il satirico e il pataccoso, si divertirono a pubblicare la finta notizia della querela del ministro Kyenge nei confronti di Edoardo Vianello, il celebre cantante che tra le sue composizioni più celebri degli Anni ’60 annoverava quei “Watussi” descritti come “altissimi negri”. Parola naturalmente oggi straproibita e stravietata, che provoca la messa al bando immediato dal consesso civile di chi dovesse malauguratamente pronunciarla.
Un bando, tra l’altro, del tutto retroattivo, dal momento che pure Gianni Morandi e Marco Masini, in prima serata il sabato su Raiuno, ebbero a trasformare la satira paradossale in realtà, ricantando sì “I Watussi” di Vianello, ma depurata da quella parola impronunciabile. Nel Continente nero, alle falde del Kilimangiaro ci stava quindi non più “un popolo di negri” bensì “un popolo di neri”. “Siamo i watussi, siamo i watussi, gli altissimi neri” cantavano di conseguenza i nostri eroi, con buona pace del fatto che per amor di assonanza, ogni tre passi, i watussi avrebbero dovuto fare “sei meri” e non più “sei metri”. Ma tant’è, la correttezza imponeva e impone questi ed altri sacrifici non solo lessicali.
Finito lì? No. Il bello è di pochi giorni fa. Facebook è un social network dove puoi inneggiare a Hitler e Stalin e molestare o tentare di adescare il prossimo anche in modo pesante, ma guai a mostrare un capezzolo e a scrivere una parola meno che politicamente corretta. Così è finita censurata una battuta sul ministro Poletti che, entrando al bar e ordinando un paio di Negroni (per i non avvezzi è un notissimo cocktail), finiva arrestato con l’accusa di caporalato. Nisba, siamo tutti Charlie ma non il signor Zuckerberg: post rimosso e buonanotte ai Negroni.
Sulla scorta di quell’episodio mi decidevo quindi a tentare un gustoso esperimento: pubblicare su Facebook proprio il testo integrale dei Watussi di Vianello, quello originale con tutte le “g” al loro posto. Risultato? Dopo un paio di giorni, la ferale comunicazione: “abbiamo rimosso il post perché non rispetta i nostri standard della comunità”.
C’è ben poco da aggiungere, credo. Se non che una “comunità” in cui si possono pubblicare video di donne lapidate o di cani squartati ma non il testo di una canzone degli Anni ’60 che ha venduto milioni di dischi, è soltanto che il più nitido specchio di una società ipocrita e malata terminale. E di un neobacchettonismo radical che non ha bisogno di altri commenti se non di una sonorissima ed amarissima risata.

 

 

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