di Angelo Valentino – Facciamo il punto. Chiamarlo un governo che rappresenta territorialmente tutto il Paese è impossibile. Chi governava prima, tanto per dire, era certo del Nord, ma gli interessi a cui rispondere erano di altri. E’ tutto da rifare. Quanto tempo serve per ricostruire il Nord?
Oggi chi ha potere contrattuale al Nord e sul Nord? Renzi? Berlusconi? Grillo? Salvini? Oggi forse la questione si pone più che per segmenti ideologici, per voti tematici. L’euro, gli immigrati, le pensioni… il lavoro. “Vota Antonio” non c’è più.
E, in questa evoluzione al ribasso della politica, a cosa è servito il referendum lombardo sull’autonomia? Un’altra campagna elettorale!
Di certo il Nord che abbiamo conosciuto, non torna più. La crisi lo ha debilitato, disilluso. Fatta fuori la nostalgia, il Titanic partito da Southampton che non ha fatto i conti con l’iceberg, non può riemergere. Oggi però il cambiamento può arrivare dal basso, è una possibilità. Non è vangelo, non è detto che arrivi a destinazione. Ma rinunciare a questa prima e unica possibilità di parola, dopo il fallimento dei partiti trasformati in grandi gruppi di consenso su facebook, non sarebbe nello stile ambrosiano.
Rifaranno la riforma delle pensioni, via quota 100, avanti altro, ma se non c’è lavoro, non ci sono i lavoratori per pagarle. Fanno il cuneo fiscale? Ma se c’è evasione cronica, non c’è giustizia sociale e fiscale al Nord. Dov’è la ripresa? Le liti verbali sul 3% di sforamento del Pil sono costate miliardi di euro.
Che facciamo? Chiediamo di rateizzare anche questo e di metterlo a carico del Nord? Costruire una opposizione sul territorio è la sola scelta possibile per dare risposte diverse dalla nuova cassa per il mezzogiorno, una banca annunciata dal premier. Il Nord che chiude e fallisce ringrazia.