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Veneto come il SudTirolo! In Consiglio regionale la legge per riconoscere i veneti minoranza nazionale e avere il bilinguismo negli uffici pubblici!

veneto indipendente

A cura di BENEDETTA BAIOCCHI – La proposta di legge regionale è rivoluzionaria e prepara le condizioni per arrivare al riconoscimento ufficiale della lingua veneta nelle scuole, negli uffici pubblici… passando per il riconoscimento dei diritti di minoranza nazionale. In calendario in Consiglio regionale da martedì 28 novembre, il testo apre le danze in attesa del referendum consultivo del 2017 sull’autonomia spinta.

Ma vediamo il testo che argomenta il progetto.

Il Progetto di legge n. 116 nasce dalla Proposta di legge di iniziativa dei Comuni di Resana, Grantorto, Santa Lucia di Piave e Segusino relativa a: “APPLICAZIONE DELLA “CONVENZIONE QUADRO PER LA PROTEZIONE DELLE MINORANZE NAZIONALI”, RATIFICATA CON LEGGE N. 302/1997, AL POPOLO VENETO”.

Si legge innanzitutto che “il popolo veneto è una comunità umana storica ed etnica insistente nel territorio dell’alto Adriatico fin dal 1200 a.C., anche se sono numerosissimi i reperti venetici tanto da poter concludere che i veneti erano una delle componenti principali e maggioritarie degli indoeuropei, ed essi portarono con sé la loro civiltà, i propri costumi anche sacrali, la lingua e varie tecniche di allevamento e coltivazione come le tecnologie dei metalli e della ceramica…. È un popolo il veneto che precocemente aveva una propria scrittura con proprio alfabetico, attestata esistente coeva a quella etrusca ma con proprie specificità, una scrittura insomma similare a quella diffusasi nello stesso periodo in altri territori come l’Umbria (Etruschi) e nel Lazio (Latim) ecc.,”. Fondamenta storiche profonde.

 

Tanto che la moderna lingua veneta conta documenti intellegibili fin dal 1200 dC., è riconosciuta esistente anche dalla tabella ISO 639-3 con il codice “VEC”. “La lingua veneta è parlata ancora oggi dalla maggioranza della popolazione residente nel regione Veneto, ma pure dalla maggioranza dei cittadini dei territori della Venezia nel regione Friuli-Venezia-Giulia (Pordenone, Trieste e Costa adriatica), ma pure nelle provincie di Trento come in ampia parte delle provincie di Mantova e Brescia già appartenenti alla Repubblica Veneta, mentre sono varianti ben distinte ma sempre della lingua veneta anche il Cadorino, Bresciano e il Bergamasco che sono di frontiera con altre lingue minoritarie. A questo ceppo linguistico veneto se ne aggiunge un altro molto numeroso che si trova in Rio Grande do Sul, in Brasile, e altri sparsi per l’Europa, come in Istria, Tulcea, Albania Veneta. I parlanti veneto nel mondo sono diversi milioni , ma non bisogna però confondere il fatto linguistico con il fatto “nazionale” (…). Erroneamente si crede comunemente che la differente lingua sia la dimostrazione dell’appartenenza ad una diversa etnia, e allo stesso tempo si crede erroneamente che parlare la stessa lingua significhi avere la stessa nazionalità”.

“Il riconoscimento delle minoranze linguistiche in Italia è avvenuto del 1999 dopo anni di elaborazione, in ottemperanza della “Carta Europea sulle lingue regionali e minoritarie” di fonte Consiglio d’Europa la cui ratifica legale in realtà non è mai avvenuta (l’Italia viene biasimata per questo e sarà presto condannata). All’epoca della preparazione della legge sulle lingue minoritarie la lingua veneta era stata giustamente e ovviamente censita fra quelle per le quali era dovuto il riconoscimento, ma nel 1997 le spinte secessioniste crearono nel parlamento italiano la paura che il riconoscimento della lingua avrebbe rinfocolato la spinta secessionista, per cui essa venne stralciata dalla lista. Purtroppo quella grave lesione dei diritti linguistici non è più stata sanata poiché la materia delle minoranze linguistiche è riservata allo Stato dalla Costituzione (art.6). A nulla è valsa nemmeno il riconoscimento regionale del Veneto della lingua veneta nel 2007, e il riconoscimento regionale della Regione FriuliVenezia-Giulia del 2011 per la sua parte di popolo, in quanto tali enti non hanno competenza in materia, almeno fino a quando non sarà ratificata la suddetta Carta sulle Lingue regionali e minoritarie”.

“Tornano alla questione delle minoranze nazionali, il fatto che un parlante una lingua minoritaria, o anche la maggioranza regionale dove essa esiste, si senta comunque parte di una nazione di lingua diversa, non significa che tutti coloro che fanno parte di una certa minoranza linguistica si sentano della nazionalità dominante. Esiste insomma il fenomeno delle “minoranze nazionali”, emerso nel diritto internazionale quando diversi indicatori già annunciavano la caduta del muro di Berlino ed il ritorno all’autogoverno di diverse minoranze. Il Consiglio  d’Europa, preoccupato dei conflitti etnici che sarebbero emersi nel seguito della caduta dell’Unione Sovietica, e della rivendicazioni che sarebbero sorte dalle minoranze non più eterodirette, cercò di creare un quadro legislativo per questi fenomeni in realtà ben diffusi anche nell’Europa occidentale, e il tutto nel dichiarato tentativo di prevenire i conflitti e i tentativi di oppressione da parte degli stati tornati alla sovranità. Venne quindi creata la “Convenzione Quadro sulle minoranze nazionali”, di fonte Consiglio d’Europa appunto, emanata nel 1986 e ratificata dall’Italia con legge n. 302/1997, riguardante quindi coloro che si sentono appartenenti ad una comunità differente dalla comunità nazionale maggioritaria nello stato, e lo sono per alcuni aspetti come per esempio il fatto che parlano una lingua diversa, sono insomma delle “minoranze nazionali” che in quanto tali possono o meno parlare una propria lingua, ma non necessariamente”.

E, ancora, “Quando una comunità, per la propria storia, per i propri modelli sociali, anche economici, per la propria lingua o altro, si percepisce come differente dal resto della comunità nazionale, siamo di fronte ad una “minoranza nazionale” la quale ha il diritto non solo di vedere avere particolari tutele previste dalla suddetta Convenzione, come posti riservati nell’amministrazione statale e locale, mezzi di comunicazione riservati come giornali e TV , ma pure il pieno bilinguismo negli uffici, scuole bilingue, cartellonistica stradale ecc. ecc., in lingua minoritaria, anche quando questa non sia stata riconosciuta dallo Stato”.

“Le “minoranze nazionali” sono quindi una materia di diritto differente dalle “minoranze linguistiche”, anche perché se fossero la stessa questione allora la convenzione sulle minoranze si applicherebbe a tutte le minoranze linguistiche d’Italia, quindi si dovrebbero avere tanti sud Tirolo quante sono le minoranze nazionali. Invece le minoranze nazionali sono un fenomeno sociologicamente diverso, emerso nel diritto e riconosciuto dal diritto internazionale solo da pochi decenni, e per questo la materia non è nominata in Costituzione né assegnata. A chi spetta quindi, nel riparto delle competenze costituzionali, riconoscimento delle minoranze nazionali ? Essendo competenza non elencata, essa spetta alle regioni in virtù della art. 117 c.4 della Costituzione, almeno fin tanto che non verrà modificato il Titolo V della stessa come il parlamento dei nominati sta facendo. Un parlamento, giova ricordarlo, che secondo la sentenza n. i del 2014 della Corte Costituzionale è stato eletto incostituzionalmente (…)  Esiste un diritto speciale che il popolo veneto ha di essere riconosciuto da parte delle diverse regioni poiché esso è già stato riconosciuto “popolo” dall’art. 2 della legge costituzionale n. 340 del 1971 che istituiva la regione veneto, e seppure tale riconoscimento c’è anche nel nuovo statuto della regione veneto del 2012, emanato dalla regione stessa, questo non ha lo stesso valore costituzionale del riconoscimento del 1971 che venne invece emanato dal parlamento e in doppia lettura come per le riforme costituzionali”.

Dunque, “popolo veneto è dunque già riconosciuto come soggetto di diritto esistente, per cui ad esso semmai si devono pure il diritto all’autodeterminazione (L. n. 881/1977), fatto riconosciuto anche con le risoluzioni 42/1998 e ancora nel 2012 ma senza alcuna utilità effettiva. Riconoscere il popolo veneto come “minoranza nazionale” non è impegnativo sul piano della indipendenza, anzi, la stessa legge n. 302/1997 afferma che i diritti lì sanciti non debbono poi essere usati per raggiungere l’indipendenza, ed allo stesso tempo è proprio la negazione dei diritti di minoranza nazionale a legittimare invece eventuali azioni di indipendenza a causa del fatto che costituiscono violazione dei diritti umani fondamentali sul piano internazionale e sono causa giustificativa di secessione legittimata nel diritto dei popoli. La Regione Veneto ha già riconosciuto il popolo veneto come soggetto di diritto internazionale, chiedendo pure un referendum regionale  per l’autonomia o l’indipendenza, e dunque può tranquillamente riconoscere la minoranza nazionale del popolo veneto, e le due cose non sono in conflitto fin tanto che il popolo veneto non decida di esercitare la propria sovranità internazionale notoriamente scippata nel 1866 con plebiscito invalidato e poi annullato nel 2010 dallo stesso governo italiano. Il riconoscere l’identità e l’autonomia specifica del popolo veneto quale minoranza nazionale significa riconoscere allo stesso tempo il suo appartenere alla Repubblica Italiana, ed è certamente competenza delle regioni (art. 117 c. 4 Cost.) il farlo, anche se questo porterà ai veneti uno status del tutto speciale sottoponendoli ad una amministrazione speciale similare a quella del Sud Tirolo ma pur sempre unitaria. Il riconoscere ai veneti i diritti di minoranza nazionale non trasformerebbe la regione in una autonomia speciale, ma obbligherebbe invece l’amministrazione dello stato a rispettare la sfera dell’autonomia del popolo veneto, a trattarlo come tale, per di più dovendo lo stato assumersi i costi della salvaguardia e della realizzazione della minoranza nazionale, in realtà semplicemente dovendo provvedere ad una decurtazione della tassazione oggi avente un residuo di decine di miliardi a sfavore dei veneti. Insomma lo stato dovrebbe ridurre gli introiti regionali ad un ragionevole 10-20 per cento in linea con quanto avviene nei territori europei contermini”.

“Occorre inoltre ricordare che il popolo veneto essendo diffuso su più regioni, ai sensi della Convenzione succitata, ha pure diritto di essere amministrato da una stessa regione, come per altro tenderebbe a fare la riforma delle regioni con l’istituzione di una unica regione triveneta, e per gli stessi giuridici non ha senso parlare di una rappresentanza internazionale del popolo veneto da parte di una singola regione, che è un ente amministrativo dello stato sottoposto alle regole costituzionali, fatto per altro già statuito e riconosciuto dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 365/2007. Insomma il popolo veneto può raggiungere il proprio autogoverno interno nella Repubblica Italiana similarmente a quello del sud Tirolo, tutto questo tramite una semplice delibera del Consiglio regionale. Basta una delibera regionale che riconosca l’esistenza dei seguenti fatti – la “Convenzione quadro per la protezione delle minoranze nazionali” del Consiglio d’Europa (STE n. 1571 ratificata con legge n. 302/1997 2) impone ad ogni amministrazione dello stato Italiano di rispettare alcuni diritti fondamentali delle minoranze “nazionali” che la stessa convenzione defìnisce “parte integrante della protezione internazionale dei diritti dell ‘uomo”.

Per approfondimenti e il testo integrale: http://www.consiglioveneto.it/crvportal/getScheda.jsp?canale=consiglio&layout=testo&leg=10&tipo=PDLR&numero=0116&anno=2016

 

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