E, dall’altra, il tramonto dell’idea di Padania. Politicamente, giornalisticamente, letterariamente ha animato decenni di discussioni e di battaglie. Anche morali, di valori.
Ora che la Lega è scossa da cambiamenti, rimozioni carismatico-simboliche, da un ripensamento del suo modo di essere e chiamarsi, con l’ambizione di diventare capofila del centrodestra, dopo non aver sfondato come Csu Bavarese, alla ricerca di requisiti per esserlo, sperando di fare in pochi quel che non ha combinato con molti, non può non tornare alla memoria, senza parlare sempre di Guido Fanti e della macroregione ipotizzata dalla sinistra nel 1975, Sergio Cofferati. Un altro emiliano, anche se acquisito, con senso acuto del fare e dell’interpretare dove va la gente.
Pensa te. Una volta Sergio Cofferati, uno che non era di destra e neanche bossiano, rimproverò i suoi l’aprile del 2008 dopo il trionfo elettorale del Carroccio per dire: ma che, siete sciocchi a dire che la Padania non esiste? Non parlava di Nord punto cardinale ma di una terra ben delimitata da un’economia e da una cultura che non si sentiva rappresentata dal Pd.
“La Padania esiste, è qui e va capita”, dichiarava a Federico Geremicca su La Stampa, il 17 aprile 2008. Sti cavoli. E faceva un ragionamento molto serio, Cofferati. Diceva: votano la Lega, al Nord, che è cosa ben diversa dal votare Berlusconi, perché “ha evidenti elementi di diversità”. Elementi che per l’obiettivo del Pirellone e di Roma, si sono tatticamente smussati. E aggiunge il Coffe: “Ma certo che sì, guardi che io son di lì, nato a Sesto e Uniti, in provincia di Cremona, in mezzo ai contadini”.
Commentava Geremicca: “La Padania esiste, e lo dimostrano perfino i risultati elettorali: se è così, non ha senso negarlo perché ne ha parlato prima la Lega”.
C’è da chiedersi come si chiamerà nel 2016 “la cosa” che uscirà dalle urne al Nord, nell’ex Padania. Che nome daranno i risultati elettorali al futuro di questa terra e al resto del Paese?
Coffe però va oltre e spiega: “Credo occorra ormai analizzare anche i risultati elettorali non più regione per regione ma area per area. Se noi osservassimo le cose un po’ più dall’alto, ci accorgeremmo che quel che accade sulla sponda destra del Po succede anche sulla sponda sinistra…”. Ma bisogna saper guardare le cose dall’alto, appunto.
“In grandi aree del nord ci sono ormai elementi di uniformità dettati dalla struttura economica e sociale: e per queste due vie, producono risultati elettorali. Se si guarda la pianura… Cremona e Reggio Emilia, oppure Mantova e Ferrara – che sono città di regioni diverse – hanno una strutture economica, sociale e risultati elettorali del tutto simili”.
Insomma, viene al dunque: “gli elementi di identità territoriale non sono più rappresentati dai confini geografici e regionali. Le persone si muovono… Io penso che non ci possa organizzare efficacemente sul piano della rappresentanza considerando invalicabili i confini geografici… Dunque, quando penso alla dimensione territoriale del futuro Pd, penso a due cose assieme: agli antichi insediamenti ottocenteschi della rappresentanza politica – luogo per luogo, paese per paese – e ai modernissimi scavalcamenti di confini geografici e regionali ormai fittizi. (…). Un partito deve prendere come riferimento queste grandi aree. E’ inevitabile. Non farlo non ci aiuterà né a capire il nord né a radicare il Pd in queste aree decisive del Paese”.
E allora, cosa è accaduto, cosa ha calato il ponte levatoio della “Padania che esiste e va capita” agli avversari che hanno sempre rincorso il consenso del Nord, erodendo un pezzo di fossato alla volta?
Gli scandali? A sinistra pure non mancano. Il venir meno di un carisma? La sinistra lo ha vissuto il dramma. E ne vive ora l’apparente presenza.
La scomparsa della questione settentrionale? C’è e lo sanno bene i sindacati amici della sinistra.
Due legislature Pdl-Lega che hanno deluso le aspettative dei federalisti? Che dire allora del sostegno del Pd a Monti…
L’aver perso l’identità che va capita e non sostituita con slogan fiscali? Il Pd se è per questo ha votato l’Imu e il fiscal compact, il pareggio di bilancio e ha mollato la sovranità fiscale a Bruxelles. Ne ha fatte che basta e avanzano.
Cosa ha allora raffreddato la corsa, cosa ha ammutolito il sentimento? Il guazzabuglio tattico di mollare il Pdl alle amministrative del 2012, tutti soli, scaricare Formigoni tranne poi fare l’accordo di nuovo? E’ la real politik.
E allora? Sentite cosa diceva Cofferati:
“A parte il fatto che quando un partito supera certe soglie di consenso il suo radicamento è necessariamente interclassista, vorrei ricordare il 1994, cioè la crisi del primo governo Berlusconi. Il sindacato protestò per la riforma delle pensioni proposta, ma la crisi l’aprì Bossi in Parlamento. E lo fece perché l’acuirsi del contrasto tra sindacato e governo mandò in sofferenza la base sociale ed elettorale della Lega, che già allora era fatta anche da operai. E se devo dirle, anzi, la situazione di oggi mi sembra somigli molto a quella che ricordavo”.
Insomma, Bossi mandò a quel Paese Berlusconi, lo fece perché la sua base era stata tradita. Furono anni duri quelli che seguirono, ma non rinnegarono la matrice popolare per rafforzare il consenso, quello che servì poi a scardinare di nuovo la corsa del Pd al governo. Se dobbiamo dirla come Cofferati, anche oggi la situazione somiglia a quella lì. Ma l’identità che lega gli elettori, e le ragioni del voto di Grillo qui abbondano, è la crisi economica, la mancanza di lavoro, l’identità comune è il rigetto di una classe politica che ha tradito da destra a sinistra al centro il mandato elettorale. E’ un’identità interclassista e sovraregionale. Esprime l’impeto del primo Bossi e corre più veloce della politica che ripete da mesi gli stessi slogan. No qui e no là…
Sono tutti imbambolati, ripeteva Grillo nel 2013. Lo sono anche nel 2015 e lo saranno nel 2016. A furia di fare avanti e indietro, di aggiungere e togliere pezzi, tornare con quelli di prima, che ne sarà delle amministrative della prossima primavera?