Una Repubblica fondata sulle App e non sul lavoro reale

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di RICCARDO POZZI – Una delle prossime attività ad essere dichiarata disciplina olimpica sarà la visione del futuro. Molti si cimentano già in questa scivolosa arte, rassicurati dalla stessa dinamica che rassicura gli astrologi e i loro oroscopi, e cioè che nessuno va a controllare le sciocchezze che hanno previsto l’anno precedente.
Le pubblicità, che per loro natura inquadrano un futuro prossimo, dicono che dialogheremo in casa con piccoli cilindri parlanti, avremo automobili che si autoguideranno, tetti foderati di pannelli solari e fonti rinnovabili che ripuliranno il cielo. Elettrodomestici intelligenti, orologi che monitorizzeranno le nostre funzioni vitali e , nel caso, avvertiranno l’ambulanza di un nostro malore. La robotica sarà così pervasiva e completa che i nostri redditi saranno sganciati dalla produttività, ormai determinata solo dall’automazione totale, ma sufficienti per farci vivere nell’agio con poche ore di impegno.
Il lavoro sarà a distanza perché sarà sempre meno necessario esserci e sempre più indispensabile collegarsi, così la mobilità delle persone verrà ridotta al minimo.
Ma lo spot finisce in pochi secondi, mentre le perplessità rimangono più a lungo.
Il cilindretto in cucina ripete le stesse bufale che girano in rete, non abbassa le luci e non mette musica romantica a meno che non lo si colleghi con appositi potenziometri digitali e nuovi hi-fi, con costosi interventi del buon vecchio elettricista.
Le automobili senza conducente ci permetteranno di consultare lo smartphone mentre siamo in viaggio ma avranno qualche difficoltà a distinguere la riga della strada interrotta da una enorme buca e faticherà a riconoscere il cartello sbiadito di stop su cui fa specchio il sole proprio nel momento in cui il sensore dovrebbe farci fermare all’incrocio.
I pannelli fotovoltaici sul tetto erano cinesi e non tedeschi, sono perciò durati solo dieci anni e non venti rendendo inevitabile la loro sostituzione. In ogni caso il loro apporto concentrato nelle poche ore di maggior irraggiamento, è insufficiente a ricaricare le batterie avanzate fisse che dovranno ricaricare quelle della macchina durante la notte. Così abbiamo costruito altre centrali a gas e lo smog nelle città è diminuito di poco. Gli elettrodomestici saranno anche intelligenti ma il mio frigo si ostina a mandarmi mail sul telefonino avvertendomi che la mozzarella è scaduta. Ho provato a fargli capire che neanche la voglio la mozzarella ma lui ha trattenuto in memoria il codice a barre e continua a ordinare al supermercato confezioni di sei mozzarelle ogni settimana.

L’orologio biodigitale che ho al polso non ha rilevato anomalie cardiache ma mi ha avvertito che risultano non pagate due utenze elettriche, la raccolta iperdifferenziata e la bolletta del gestore che telefonico che mette online tutti i 19 dispositivi della mia abitazione iperdomotica.
D’altra parte il mio stipendio, sganciato dalla produttività generale, si è agganciato ai nuovi parametri di povertà relativa decisi per il mio quartiere, recentemente popolatosi da nuclei famigliari ampiamente inadempienti.
Continuo a lavorare a distanza ma mi danno comunque una miseria.

L’unica cosa progredita è il mio rasoio, composto ormai da 24 lame, è più lungo che largo.
La prima lama solleva il pelo mentre lo taglia, la seconda ne taglia un altro pezzo, la terza e la quarta si chiedono cosa stanno lì a fare, le successive dieci pensano di fondare un partito, e le restanti servono a farmi credere che il rasoio sia migliore di quelli monolama di trent’anni fa che costavano cento lire.
Una specie di futuro remoto dove, invece di migliorare la vita delle persone, si moltiplica quella delle applicazioni inutili, travestendole da futuro prossimo.
Ci piacerà questo elemento?

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