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Un Paese di santi e di santoni sindacali!

lo_stato_nuoce_alla_lombardiadi SERGIO BIANCHINI – In questi anni lo sdegno contro gli sprechi della spesa pubblica sembra essere cresciuto a dismisura. Ma in realtà è uno sdegno pilotato dai signori dello spreco che sono i sindacati del pubblico impiego. Si è mai visto un solo scritto contro la differenza di trattamento degli impiegati pubblici, a parità di mansione, rispetto agli impiegati del settore privato?

Nel pubblico impiego circa 3 milioni di impiegati ed operai hanno un orario settimanale di 36 ore contro le 40 dei loro colleghi del privato. Ho tralasciato gli insegnanti statali per comodità di calcolo ma anche loro hanno un trattamento enormemente migliore rispetto agli insegnanti del settore privato.

Ebbene, se moltiplichiamo le 4 ore settimanali in meno degli statali per i tre milioni di posti fanno 12 milioni di ore in meno erogate. Calcolando per difetto in dieci euro la spesa oraria fanno 120 milioni di euro alla settimana di spesa. In un anno sono 600 milioni di euro.

E’ una cifra molto grande il cui onere potrebbe essere eliminato semplicemente con un provvedimento egualitaristico imponendo che a parità di mansione non possa esserci un trattamento diverso tra pubblico e privato su orario, stipendio base e ferie.

Ovviamente a questo tutti i finti moralisti e fustigatori a senso unico della spesa non fanno una piega. Anche il Grillismo che è in larga misura una forma nuova del centromeridionalismo non fiata. Anzi, visto che i posti pubblici ormai non possono più essere aumentati propongono uno stipendio indipendente dal posto di lavoro, e cioè il salario di cittadinanza. Certo, un supporto intorno ai 250 euro mensili per chi non trova un lavoro potrebbe essere anche accettabile ma se pensano a800 euro mensili sarebbe proprio uno schiaffo ai lavoratori “tradizionali” cioè il normalone nordico.

Ma l’intelligenza clientelare del sindacato nel pubblico impiego ne ha inventata un’altra che viene accuratamente occultata. Per fare 36 ore in 5 giorni, dato che ormai la settimana corta impera, il pubblico impiegato deve fare 7 ore e 12 minuti al giorno. Ed allora hanno inventato le 7 ore e 12 minuti SENZA PAUSA PRANZO. La cosa è stata lasciata alla contrattazione locale ma applicata ovunque. Immaginate se un crudele sfruttatore privato costringesse i lavoratori a fare più di 7 ore senza pausa pranzo! Nello stato si rfa, ovviamente la pausa pranza, ed anche molte altre, esiste solo che è in orario di lavoro.

Questo è uno solo dei migliaia di esempi scandalosi che si potrebbero fare sul pubblico impiego dove i santoni del buonismo, dell’equità, della solidarietà imperano.

Per curiosità vi segnalo dei dati che mi ha inviato un amico primario ospedaliero in un suo recente scritto (omettendo le sigle sindacali, lasciamo a voi l’immaginazione):

“la (…) è stata, assieme ad (…) e (…), la principale fonte di domande di invalidità farlocche nel centro-sud e di quella cultura del lavoro come sfruttamento, per cui oggi nelle amministrazioni pubbliche 1/4 dei dipendenti ha una esenzione completa dal lavoro per il quale è stata assunta. Per farti solo un esempio, nella Sanità per ogni 2500 infermieri vi sono poco più di 500 in questa condizione. E non parlo di timbrature non veritiere, ma di dipendenti che vengono regolarmente al lavoro ma per finire negli uffici. A far niente. Potresti trasferire questa analisi ai Vigili Urbani o a qualunque categoria pubblica tu voglia considerare. Vi è una legge 104 con permessi retribuiti per assistere familiari malati che viene utilizzata dal 15,5 dei dipendenti pubblici e dal 3,3 dei dipendenti privati. Questa cifra diventa iperbolica se differenziata tra Nord e Sud del Paese. Ma non è che ci sia molto che si possa fare. Vi è una follia di fondo che attanaglia il Paese ”

Quindi senza una precisa presa di coscienza della mostruosità dell’organizzazione del pubblico impiego che lo ha fatta diventare il principale diffusore di tossine culturali e sociali invece che di vitamine, non è possible pensare ad un programma di risanamento del clima sociale e del paese.

 

 

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