di CASSANDRA – Tira una brutta aria. Il femminicidio se è passionale porta indietro le lancette della storia e il pendolo della giustizia oscilla dove non vacillava da decenni. Si ferma sulle giustificazioni che la mente maschile, la morale di un’Italia da presuffragio universale, dava per scontate al maschio incazzato.
la cronaca di oggi è questa. Il pm aveva chiesto una pena di 30 anni per un uomo che aveva ucciso la compagna: la colpì con diverse coltellate al petto dopo aver scoperto che non aveva mantenuto la promessa di lasciare l’amante. Il giudice, per questo, ha concesso le attenuanti generiche e lo ha condannato a 16 anni. Accade a Genova. Nella motivazione della sentenza si legge che l’uomo ha colpito perché mosso “da un misto di rabbia e di disperazione, profonda delusione e risentimento”.
E’ di soli pochi giorni fa la sentenza che dimezza la pena su un altro caso di femminicidio. In uno dei passaggi chiave del provvedimento della Corte di assise di appello di Bologna si dice che una ‘tempesta emotiva’ determinata dalla gelosia può attenuare la responsabilità di chi uccide.
L’argine morale si è di nuovo rotto, tanto, per quel che conta la donna sul lavoro, nel mercato occupazionale, nella progressione di carriera, nelle pari opportunità, non stupisce che si possa ancora giustificare e perdonare chi uccide per quel senso comune di inferiorità femminile che accomuna il pensiero della società italiana.
Che differenza passa tra questa legge e la sottomissione della sharia?