di Giuseppe Olivieri – Sono sempre più frequenti gli esempi che dimostrano come le intenzioni dei politici di Roma siano ben distanti dalle reali esigenze dei cittadini.
Nei giorni scorsi senatori del M5S hanno avanzato un’inutile proposta finalizzata all’inserimento dell’aggettivo “laico” nell’articolo 1 della Costituzione, ignorando il carattere di laicità già intrinseco nell’ordinamento italico sia sotto il profilo sostanziale, sia giuridico.
Adesso ritornano agli onori della cronaca, attraverso le recenti audizioni in Commissione Giustizia della Camera, altri provvedimenti tanto inutili, quanto emblematici del condizionamento ideologico determinato dal così detto mainstream.
Si tratta delle proposte di legge C. 107 Boldrini, C. 569 Zan, C. 868 Scalfarotto, C. 2171 Perantoni e C. 2255 Bartolozzi, tutte recanti modifiche agli articoli 604-bis e 604-ter del Codice penale, in materia di violenza o discriminazione per motivi di orientamento sessuale o identità di genere.
Alfredo Mantovano, consigliere alla Corte Suprema di Cassazione e vicepresidente del Centro Studi Livatino, con l’obiettivo di confutarne il contenuto, così si è presentato durante l’audizione davanti alla Commissione:
“L’obiettivo di tutelare da qualsiasi tipo di offesa alla persona è insito in un sistema che sanziona, con pene proporzionate alla gravità del nocumento che viene arrecato, i delitti contro la vita, contro l’incolumità personale, i delitti contro l’onore, come la diffamazione, i delitti contro la personalità individuale, i delitti contro la libertà personale, come il sequestro di persona o la violenza sessuale, i delitti contro la libertà morale, come la violenza privata, la minaccia e gli atti persecutori.”
“Sarebbe gravemente discriminatorio nei confronti delle persone omosessuali ritenere non applicabile nei loro confronti una o più di tali disposizioni a causa del loro orientamento sessuale” ha poi proseguito Mantovano, precisando che “una tutela rafforzata nei loro confronti sarebbe però egualmente discriminatoria verso le persone eterosessuali, o comunque verso soggetti il cui orientamento sessuale non sia in alcun modo emerso nella vicenda concreta oggetto di giudizio”.
Non vi è quindi un vuoto normativo in relazione alla tematica considerata nei progetti di legge, così come non pare esistere un’esigenza reale, smentendo i preamboli contenuti in quasi tutti i 5 progetti di legge.
I dati rilevati dal 2010 al 2018 dall’Oscad (Osservatorio per la sicurezza contro gli atti discriminatori- strumento operativo interforze dipendente dal Ministero degli Interni), vedono infatti un totale di 1512 segnalazioni. Di esse 897 (59.3%) hanno come matrice la razza o l’etnia, 286 (18.9%) la religione, 118 (7.8%) la disabilità, 197 (13%) l’orientamento sessuale, 15 (1%) l’identità di genere. In otto anni, quindi, gli atteggiamenti discriminatori rilevati in relazione all’orientamento sessuale o all’identità di genere sono 212, cioè 26,5 in media ogni anno. Atti assolutamente deprecabili, ma che come numero non rappresentano oggettivamente una vera emergenza.
Se la protezione nei confronti di persone che si sentono oggetto di discriminazione è giustificabile e doverosa, risulta, però, poco comprensibile l’esclusione dalla medesima attenzione di altre persone fragili. Per esempio, la cronaca ha segnalato in troppe occasioni il divieto di frequentazione di alcuni locali a bambini (paidofobia) o a persone con disabilità (handifobia), mentre è sempre più diffusa e crescente la discriminazione legata al peso corporeo (adipofobia), vera piaga che rischia di lasciare per tutta l’esistenza conseguenze psicologiche irreparabili nei soggetti bullizzati.
Del resto la dottrina giuridica ha sempre insegnato il principio per cui “Leges non sunt multiplicandae sine necessitate”: l’esperienza ha dimostrato che promulgare leggi non sempre implica il soddisfacimento del senso di giustizia. Anzi a volte, si corre proprio il rischio di pregiudicare il rispetto delle fondamentali libertà costituzionali come quella di opinione, di educazione, di insegnamento, del credo religioso.
Nel caso dell’estensione proposta agli art. 604-bis e 604-ter del Codice penale all’orientamento sessuale e all’identità di genere si rischia, inoltre, di compromettere l’equilibrio raggiunto con fatica a proposito dei concetti di razza, etnia e confessione religiosa esplicitati all’interno proprio della Legge Mancino e portare a condannare non tanto la discriminazione, bensì l’espressione di un’opinione. Per esempio, ritenere importante per un bambino in crescita sia la figura materna che quella paterna rischia di diventare un reato di opinione ed è singolare che la richiesta di una sua condanna provenga proprio da chi rivendichi una libertà senza limiti.
Altra criticità evidenziabile è relativa alle definizioni dei reati previsti. Nelle proposte di legge considerate non viene data una definizione univoca di omofobia e identità di genere, condizioni troppo spesso legate alla percezione individuale e quindi alla soggettività. In assenza di una chiara ed oggettiva identificazione, sarà il magistrato in un processo penale a determinare l’eventuale natura discriminatoria di una condotta.
L’obiettivo vero di queste proposte sembra quindi quello di cambiare la cultura e la percezione sociale di alcune tendenze comportamentali. Un obiettivo legittimo a patto che sia onestamente dichiarato e perseguito con strumenti non lesivi della libertà altrui.
Sarebbe sufficiente considerare l’importanza dell’art. 3 della Costituzione che riconosce per tutti “pari dignità sociale” senza alcuna distinzione per rivendicare il rispetto nei confronti della bellezza e dell’unicità di ogni essere umano.
Riconoscere il valore di ogni persona come elemento intrinseco significa esaltarne le caratteristiche e non soffocarle in un processo di omologazione culturale.
Riconoscere il valore di ogni persona in questo momento storico, in particolare, significa farsi interpreti delle sue reali necessità quotidiane ed assecondarle, senza conformarsi ai diktat ideologici. Questo deve rimanere il compito primario della politica.