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Il potere a colpi di slogan, da Nord a Sud il declino di un Paese

di STEFANIA PIAZZOlibertà 3

La libertà non è un bene oggetto di scambio né di baratto. Semplicemente non ha prezzo, sarà anche per questo che gli uomini e le donne libere non hanno le tasche piene di soldi.

Scrivere su un giornale non vuol dire per forza essere liberi; navigare sul web non significa essere più liberi; votare non corrisponde all’essere liberi di scegliere. Festeggiare il 25 aprile non è la stessa cosa che lottare per la libertà, essere consapevoli del prezzo che richiede la libertà, ossia governarla, essere all’altezza di essere liberi. Qui sta lo snodo. La libertà non è per tutti. Il Nord cerca la sua libertà? Un tempo l’ha cercata, ora si accontenta di credere che qualcuno lotti per la libertà del Nord. Che è ben diverso dal battersi per la libertà.

Mai come in questi tempi l’andare nella foresta come il ribelle di Ernst Junger offre forse la via per la libertà meno scontata e più strategica, quella dell’uscire dalla massa delle pecore, e farsi lupi nel bosco, nella foresta appunto, per sottrarsi al pericolo della servitù. Sottrarsi allo strapotere. alle vie facili, alle illusioni urlate. Tornare al bosco, sfuggire alla dittatura democratica che è democrazia apparente.

Le dittature democratiche passano sempre per un varco che viene lasciato aperto, che è quello della nostra incapacità di leggere gli eventi. E, soprattutto, nell’abitudine di non leggere. Vizio italico e padano, ovunque trasversale. Vivere di flash fotografici è più semplice, veloce e facile. Slogan, con le abbreviature.  Non sono da meno i politici, da Nord a Sud. E si vede lo spessore culturale di chi ci amministra.

Su questo pilastro la sinistra ha costruito la propria fortuna da Gramsci in poi, occupando posizioni di rendita, occupando scuola, università e mezzi di informazione, formando la coscienza della gente: la rendita per ora è finita, ma i danni continuano. Non abbiamo una classe dirigente e non abbiamo teste pensanti.

“Quando la tirannide dei partiti o di stranieri conquistatori opprime la terra, a destarsi è l’antica, sostanziale, elementare libertà. Ed è una libertà che fa sua la lotta. La resistenza del ribelle è allora assoluta. Egli non conosce neutralità né perdono. Non si aspetta che il Nemico faccia valere degli argomenti, né, men che meno, che si comporti cavallerescamente. Sa anche che, per quel che lo riguarda, la condanna a morte non sarà cancellata. Il ribelle conosce una nuova solitudine, quale comporta una malvagità di dimensioni sataniche. Ci si aspetta dunque dal Singolo un grande coraggio. Ci si aspetta che lui da solo agisca in aiuto del diritto anche contro la potenza dello Stato. Si dubiterà che esistano tali uomini … ma essi emergeranno, e saranno appunto i ribelli”.

Questa è la Resistenza. Il ribelle  (Waldgänger, the Forest Goer) passa al bosco, si ritrae nella foresta, si dà alla macchia. Come i partigiani, per poi riaggregarsi nella ribellione e trascinare “le masse” che erano inconsapevoli.  “Tra il grigio delle pecore stanno i lupi, coloro che non hanno dimenticato che cos’è la libertà”.

Nei momenti bui, “quando tutte le istituzioni divengono equivoche o addirittura sospette, e persino nelle chiese si sente pregare ad alta voce non per i perseguitati bensì per i persecutori, la responsabilità morale passa nelle mani del singolo, o meglio del singolo che ancora non si è piegato”. E’ il ribelle. Il partigiano.

Ma Junger afferma che  “il vero problema è piuttosto che una grande maggioranza non vuole la libertà”. Questo è il punto cruciale: chi è disposto a lottare per la libertà? Non è forse vero che la maggioranza dei  cittadini, soprattutto al Nord. sono attanagliati dalla paura e così preferiscono demandare funzioni allo Stato o ai partiti sedicenti liberi in cambio di sicurezza? Accade tutti i giorni.

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