di ROBERTO MARRACCINI – Mentre sto scrivendo queste righe, Donald J. Trump, quarantacinquesimo Presidente eletto degli Stati Uniti d’America, ha appena terminato di parlare ai suoi sostenitori a Manhattan. Un discorso semplice, sobrio, che lascia intravedere – come se ce ne fosse bisogno – come egli sarà il Presidente di tutti gli americani. Ma soprattutto, altro pensiero che ho in testa ormai da qualche giorno, che si comporterà, negli affari diplomatici e nei rapporti con gli altri Paesi nel mondo, in modo rispettoso e non oltraggioso (come da più parti si è sostenuto) delle istituzioni internazionali e nei vari scenari geopolitici in cui gli Stati Uniti sono presenti. Il Trump aggressivo e spregiudicato visto in campagna elettorale non lo vedremo – presumibilmente – più.
Seppur è vero che differenze con la Clinton esistono, soprattutto per quanto concerne l’interpretazione della politica estera degli Stati Uniti (isolazionismo contro internazionalismo, rapporti maggiormente distensivi e proficui con la Russia di Putin, ecc. ) è anche vero – e non bisogna tralasciarlo come argomento – che lo slogan della campagna di Trump è stato “Make America great again”. Fare di nuovo grande l’America, che significa “grande” non solo per gli americani negli Stati Uniti, ma anche per il brand USA sulla scena internazionale. Ecco perché Trump ha parlato ed è intervenuto più volte, durante la sua lunga campagna elettorale, sulla questione NATO. Che egli non vuole nella maniera più assoluta cancellare o indebolire, ma solo far diventare più equilibrata nella sua struttura di bilancio (gli apporti dei singoli membri):
“L’Alleanza Atlantica è ormai obsoleta. È stata creata moltissimi anni fa e la situazione internazionale è oggi notevolmente diversa. Spendiamo troppo e non possiamo rischiare di combattere la terza guerra mondiale per proteggere nazioni che non pagano” (Trump: «Can’t Go Into World War III for NATO Allies Who Don’t Pay», New- smax, 26/7/2016).
È facile invocare l’intervento americano e della Nato, contribuendo però in piccola parte al suo bilancio!
Comunque, tralasciando i discorsi sulle strategie geopolitiche e la politica internazionale – argomenti che interessano poco o nulla all’America profonda (quella che in massa ha votato per Trump) – è con la semplicità di linguaggio e la manifestazione sincera della propria personalità che egli ha conquistato la Casa Bianca. Perché prima di tutto ha conquistato – volenti o nolenti, piaccia o no – il cuore della gente. Ha parlato direttamente a loro, ai loro disagi, alle loro inquietudini, facendosene interprete.
E questo è avvenuto nonostante la consapevolezza della scarsa popolarità e del vuoto di appeal di Hillary Clinton. Tutta la vulgata benpensate del politicamente corretto, sconcertata dalla comunicazione diretta di Trump e dal suo parlare al popolo in maniera diretta (una modalità rozza per certuni), insisteva nell’indicare nel magnate newyorchese un pericolo per la democrazia e la stabilità degli equilibri mondiali. Occorreva allora votare – nonostante la scarsa capacità performante della Clinton – nella donna che avrebbe salvato i valori americani dalla rovina. Ma perché, crediamo davvero che oggi il mondo finisca? Crediamo veramente che con Trump alla stanza ovale il mondo si stia avviando verso una catastrofe inenarrabile? Suvvia, non scherziamo.
All’America non succederà nulla. Così come al mondo. Gli Stati Uniti continueranno – legittimamente – a tutelare e fare i loro interessi nel mondo, come compete ad una grande nazione.
Spero che, in politica estera, quanto fatto da Obama (quasi nulla) venga il prima possibile resettato. Soprattutto in Medio Oriente e in Siria, dove l’Occidente e gli USA in particolar modo sono intervenuti con enorme ritardo, lasciando che si propagasse l’ISIS. Ecco perché ritengo che questa nuova amministrazione americana non possa fare peggio di quanto fatto da Obama.
Gli americani, in piena coscienza, hanno votato – democraticamente – non per il meno peggio. Si tratta, molto semplicemente, di una questione di puro e semplice calcolo politico. Gli americani si sono chiesti: chi dei due candidati mi rappresenta di più? Quale dei due, al netto degli scandali e dei problemi di ognuno, incarna il vero spirito americano e soprattutto potrà fare qualcosa per me? La risposta è stata chiara: Donald J. Trump.
Gli americani, quelli della classe media e che si stanno progressivamente impoverendo, e anche quelli dei ceti meno abbienti (i poveri, ricordiamolo, negli USA sono 46 milioni di persone) hanno dato la loro fiducia a chi ha meglio interpretato – emotivamente – i proprio bisogni e disagi personali di ogni giorno. Hanno dato un calcio diretto in faccia al sistema di potere, all’establishment politico che ha generato la crisi economica del 2008 – di cui stiamo ancora pagando le dirette conseguenze – e che ha impoverito tanti americani.
L’8 novembre 2016 verrà ricordato a lungo. Il popolo si è ribellato al potere.
Per questo dico, come faccio ogni anno l’11 settembre, God bless America!