Tra dittatura fiscale e doppia morale all’italiana

di ROMANO BRACALINI

L’Italia è ancora uno stato di diritto? Non ho mai pensato che lo fosse.

Da un secolo e mezzo la parte terrona tiene in ostaggio la parte progredita e civile; da sempre l’avvilisce e la sfrutta con l’oppressione di una burocrazia occhiuta e poliziesca che senza criterio di equità e di rispetto dell’individuo compie ogni sorta di abuso e assesta “strappi forti allo stato di diritto”. Il divario tra democrazia in Italia e in Europa si allarga in misura che il cittadino è vessato e umiliato nella propria dignità. La Corte dei Conti e il Garante della Privacy sono concordi nel giudicare il sistema fiscale italiano tra i più tirannici del mondo e il più iniquo poiché si accanisce sul contribuente onesto che deve pagare per tutti. E lo si carica di una imposizione fiscale che ormai viaggia su quasi la metà di ciò che gli guadagna.

Lo Stato inadempiente, lui per primo, non si fa nemmeno scrupolo di stilare l’elenco dei buoni e dei cattivi come faceva la Gestapo e la Securitate. Ma è la duplicità del Paese, la sua diversa composizione etica e sociale, a permettere che una parte del Paese paghi per l’altra. Il sudario dell’uniformità non ha portato all’omologazione sperata delle leggi e dei costumi. Vige nel Paese una doppia morale, già denunciata alla fine del’Ottocento, una doppia morale nel malcostume della politica clientelare, nella corrruzione della vita civile, nella criminalità organizzata e nella burocrazia disorganizzata di stampo borbonico. Enrico Ferri, deputato socialista lombardo di fine Ottocento, pronunciò in Parlamento l’accusa che fece sobbalzare l’assemblea: “Al Sud esistono oasi di onestà e sono tanto meritevoli per questo, mentre al Nord esistono oasi di disonestà”. I deputati meridionali insorsero sdegnati, specie quelli eletti con i voti della mafia e della camorra, senza poter smentire la fondatezza dell’accusa. Il deputato lombardo Felice Cavallotti aveva sentito il bisogno di scrivere la famosa “Lettera agli onesti di tutti i partiti”, che come si può capire erano una minoranza, così che il suo appello rimase inascoltato.

Il Sud resta il problema da cui discende tutto il resto. Filippo Turati scriveva editoriali di fuoco su “Critica Sociale” per denunciare le malversazioni e le manipolazioni elettorali al Sud. Nel 1877, dopo l’avvento della sinistra al potere, la legge Cerboni mise la burocrazia al servizio dei partiti, con l’incremento delle clientele e della corruzione e l’assalto alla diligenza dei burocrati meridionali che da quel momento occuparono lo Stato imponendo la loro visione autoritaria a territori che avevano conosciuto il riformismo illuminato degli Asburgo e la civiltà del vivere. Lo strapotere del Meridione negli apparati dello Stato non è diminuito, anzi è aumentato essendo la burocrazia la sola industria del Sud. Turati era solito dire che a Napoli la maggiore industria era quella dello “sbafo”.

Perché si è giunti a questa dittatura fiscale che mina le basi stesse della democrazia e suscita nel cittadino un moto di ribellione? Per ciò che è sempre mancato all’Italia terrona: il senso civico, l’educazione, la disciplina, il rispetto del cittadino che non è un “mariolo” fino a prova contraria, come pensa il burocrate di stato, bensì, al contrario, un cittadino onesto fino a prova contraria; ricorrere allo spionaggio bancario, ai trabocchetti fiscali, violare impunemente la privacy, come è stato denunciato dalla Corte dei Conti, appartiene al metodo ricorrente delle tirannie, e la tirannia burocratica e fiscale italiana è quella di peggior conio perché vorrebbe far credere, al contrario, di essere ispirata da un criterio di giustizia.

Al Nord l’evasione fiscale è fisiologica e pari a quella europea. Al Sud è una voragine che però trova maggiori attenuanti e comprensioni. Una doppia morale, che, come le tasse, non è più sopportabile e il distacco ci appare inevitabile, come la medicina che ci libera dalla malattia.

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