di STEFANIA PIAZZO – Voglia di autonomia? Oliviero Toscani butta lì la solita provocazione truculenta: chi ha votato è un mona, una minoranza intellettuale. Che suona un po’ come “minorati”. Forse Toscani chissà è stato colpito da alcuni aspetti triviali della campagna elettorale. Ma a noi piace ricordare la storia, che serve sul piatto la lezione. Siamo nel 1600, Papa Giulio II e papa Paolo V minacciarono a suo tempo i veneti con l’interdetto, la scomunica a tutta la comunità (su Venezia per ben due volte!). L’apparato ecclesiastico di allora, niente altro che tassatori uniti nel medesimo disegno di controllo dei beni e dei territori, tentò più volte di avere la meglio.
La prima volta fu con papa Giulio II. Alleato a Francia, Spagna e Inghilterra, assetato di fondi e terre, impose ai veneziani di cedere le terre di Romagna. Al diniego, ne scaturì il primo interdetto: il papa ricevette l’offerta da Venezia della restituzione di Rimini e Faenza, ma la rifiutò e scagliò la scomunica contro la Serenissima, se quest’ultima non avesse reso tutti i possedimenti delle Romagne. Solo quattro anni dopo, il papa liberò i Veneziani dalla scomunica, che di certo se la legarono al dito.
Il riscatto avvenne con papa Paolo V, un secolo dopo. Il Vaticano reagì all’arresto di due membri del clero da parte della Serenissima. Con la Spagna alleata, fulminò Venezia con una nuova scomunica collettiva: non si potevano più celebrare battesimi, matrimoni, funerali, dire messa. Venezia si affidò nella sua coraggiosa difesa a Paolo Sarpi, un domenicano, che fronteggiò le teste vaticane. Alla fine, la spuntò la Repubblica di Venezia, che però, attenti bene, cacciò i gesuiti dalla città. Gli ordini religiosi che avevano abbandonato Venezia vi furono riammessi, con la vistosa eccezione dei gesuiti, appunto.
Alla fine, temendo il passaggio dei territori del Nord alla riforma luterana, il papa scese a più miti consigli. Lo scontro tra Roma e un territorio che voleva autodeterminarsi nella gestione delle proprie risorse, fermò il rischio di un annientamento identitario e sociale. Averne, di mona così anche oggi.