di CORRADO CALLEGARI – Il primo lo ha pizzicato Massimo Gramellini, ed è un consigliere di Fratelli d’Italia, che si è fatto il selfie a Ferrara davanti alla tomba del dottor Torquato Tasso denunciandone il degrado e l’abbandono. Senza interrogarsi se il dottor Tasso fosse lo stesso sepolto magari a Roma. E neppure dottore. Ma è già tanto non abbia cercato accanto anche i sepolcri di Clorinda e Tancredi. Poi è stata la volta di Di Maio. Ha scritto una lettera a Le Monde con uno “sfrondone” storico da vicepremier della classe: ha collocato la rivoluzione francese in epoca carolingia. Ha detto che quella francese è una democrazia millenaria. Cioè nata nel 789 anziché nel 1789.
Epico e meritevole di menzione il commento sarcastico di Ivan Scalfarotto su twitter: E come no: da quella volta che i Capetingi vinsero le elezioni con i Carolingi”.
Di certo Di Maio conosce la grande rivoluzione che Carlo Magnò porto a partire dalla scrittura, la minuscola carolina, che è l’abc per i paleografi e ne sa qualcosa se non erro anche il direttore di questo quotidiano, laureata in paleografia e filologia musicale. Ebbene, mi ricordava la Piazzo che la carolina uniformò la scrittura sui documenti ufficiali, fu la prima semplificazione della burocrazia nella storia degli imperi. Fu una scrittura che seppur differenziandosi nelle diverse regioni del vecchio continente, diede il là ai semi di un’Europa unita nella cultura. Certo, salvo che nell’Italia meridionale, dove dalla precarolina si passò alla beneventana, ricorda la Treccani. E forse è per questo che Di Maio, che è di quelle parti, non digerisce la Francia. Per la questione delle quote latte. La Carolina, la mucca Carolina dei noti formaggini, fatti col latte oltralpe e non con quello italiano.