Tassa sul macinato o pedaggi autostradali: cosa cambia, caro Nord?

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di Romano Bracalini – All’inizio dell’Italia unita c’era un solo vincolo che la teneva prigioniera dalle Alpi a Catania: ed erano le tasse che destra e sinistra applicavano nel medesimo sistema di oppressione. Si ricorderà quella più iniqua, passata alla storia come le “tassa sul macinato” ,che gravava soprattutto sui poveri che dovevano pagarla in misura del grano macinato, onde il nome appunto di tassa dei poveri. Non c’era l’eguale in tutta Europa. La rivolta del 1898 a Milano scoppiò a causa del caro pane, ma il siciliano Di Rudinì ne approfittò per domare l’odiata Milano facendo credere che il popolo volesse fare la rivoluzione secessionista (magari!) e diede ordine al Bava Beccaris di prendere a cannonate il popolo indifeso. Se c’è una buona ragione per proclamare una rivoluzione, la fame è sempre stato il motivo prevalente sotto ogni latitudine. Il popolo di Parigi diede l’assalto alla Bastiglia, il 14 di luglio, per fame, per odio verso il monarca, la nobiltà ,il clero che predica l’amore del popolo ma sta più volentieri con i ricchi. La guerra civile americana, la Civil War, non fu combattuta per il nobile ideale di uguaglianza tra bianchi e neri, ma perché il Nord industriale voleva prevalere sul Sud agricolo che era poco rappresentato politicamente ed era oberato di tasse. Fu la protesta contro il fisco federale la causa della secessione sudista, e della guerra che scoppiò di lì a poco. Solo nell’estate del 1863, dopo la battaglia di Gettysburg, vinta dai nordisti, il presidente Lincoln sentì la necessità nel celebre indirizzo alla Nazione di nobilitare la guerra dicendo che “Una nazione non poteva vivere metà libera e metà schiava”. Se ne era accorto con due anni di ritardo. Ma che la questione razziale non fosse la vera causa l’aveva ammesso nel corso di una conversazione privata quando riferì di avere l’intenzione di rimandare tutti i neri in Africa.

Gli italiani, che non sono mai stati audaci, non si sono mai ribellati ai loro mediocri governanti e del resto è noto che ogni popolo ha il governo che si merita. Solo i milanesi, nel 1814, con i francesi in casa, ebbero il coraggio di irrompere nel palazzo del ministro delle Finanze Prina e di scaraventarlo dalla finestra. Prina era diventato il simbolo dell’oppressione fiscale francese in Lombardia. A nessun altro dopo di lui è stato riservato lo stesso trattamento, benché non ne siano mancati i motivi. Gli italiani sono docili? Direi meglio: hanno l’abito servile del suddito e i politicanti d’ogni colore lo sanno e ne approfittano. Ho seguito con un sentimento misto di stupore e di indignazione le avventure dell’Agenzia delle entrate. E’ il tipico funzionario borbonico che in un paese assai poco virtuoso come l’Italia, che vessa il cittadino della mattina alla sera, ammonisce sul dovere civico di pagare le tasse, e forse non ignora che da Roma le tasse sono un optional poco gettonato. Nequitalia, col tipico cipiglio della tirannie, si introduce nella vita privata del cittadino, decide come egli deve spendere i propri soldi, gli impone di aprire un conto corrente, di usare la carta, di prendere il contante a gocce, ed entra nelle nostre case per rovistare nei cassetti. Se questa non è tirannia ditemi voi cos’è? Un sistema di polizia da fare invidia alla DDR! Abbiamo la polizia fiscale che sono le fiamme gialle, i carabinieri e altri corpi tutti agli ordini di Nequitalia. E tutti che indagano prevalentemente a nord del Po, dove fisiologicamente l’evasione è nella media europea.

Si può essere cittadini esemplari in un paese poco esemplare come l’Italia? E’ anzitutto l’Italia ad essere inadempiente con i cittadini che pagano più di tutti in Europa e hanno i servizi pubblici che fanno schifo. Ho letto recentemente un libro di un avvocato fiscalista americano, Charles Adams, di cui riassumo brevemente la tesi centrale. Se si vuole difendere con successo la libertà contro la tirannia dello Stato, deve essere tutelata la privacy finanziaria. Essa è una delle pietre angolari della libertà, ed ha le sue radici nel principio dell’antico diritto inglese secondo cui la casa di ogni uomo è il suo castello (e soprattutto il suo tesoro) ed è affrancata dal controllo del re.

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