Recita l’articolo 138, comma II, della Costituzione che: “Le leggi stesse sono sottoposte a referendum popolare quando, entro tre mesi dalla loro pubblicazione, ne facciano domanda un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali. La legge sottoposta a referendum non è promulgata, se non è approvata dalla maggioranza dei voti validi”.
Tradotto? Il governo Conte 2 adesso deve decidere entro due mesi quando convocare la data del referendum. I tecnici spiegano che dovranno dirci la data in un periodo compreso tra i 50esimo e il 70esimo giorno successivo allo svolgimento del Consiglio dei ministri. Il primo giorno utile è alla fine di marzo oppure la prima domenica di giugno. Consultazione senza quorum, il referendum sta a cuore a chi non vuole perdere la poltrona ma è chiara soprattutto una cosa. Che al voto politico non si va. Né si sarebbe potuti andare anche se l’Emilia Romagna fosse passata alla Lega.
Il voto referendario decide i collegi, a questo punto, compresa la ripartizione degli eletti. Non si può modificare la legge elettorale in questo quadro in movimento. Non si possono sciogliere le Camere. Non si può far cadere il governo per mandarlo a casa e tornare alle urne.
E allora, se Salvini immaginava tutto questo scenario, sapeva anche che non avrebbe conquistato l’Emilia. Vincere e chiedere nuove elezioni era ancora una volta demagogia, populismo e campagna elettorale.
Più che il numero degli eletti e il loro stipendio, perché non chiedono agli italiani se chi fa politica deve studiare e avere avuto almeno un lavoro, una professione prima di candidarsi? O va sempre bene così?