di Roberto Bernardelli – Se ne è andato anche Giorgio Squinzi, ex presidente di Confindustria. Un uomo del Nord che, pur nella vischiosità del sistema, parlava di Nord, questione settentrionale e di rischio che questa landa dimenticata da Roma finisse nell’oblio. Aveva visto lontano. Oggi tutti, più o meno, lo ricordano e salutano. Ma morisse se qualcuno ricorda queste sue prese di posizione coraggiose. Forse il consiglio è di ripetere meno slogan e di segnare le cose importanti su una agendina. Ma siccome si pensa che tutti siano “buoni” a fare comunicazione perché smanettano un po’ su facebook e Instagram, allora andiamo avanti a slogan e aria fritta. Per sopperire alla dimenticanza cronica oramai della classe politica, che siccome non ha tempo di leggere, si autoassolve ogni volta, riproponiamo una memoria su Squinzi che il nostro quotidiano scrisse nel 2014 nei giorni estivi del Meeting di Rimini. Chissà, magari a qualcuno viene l’ispirazione per fare meno slogan e farsi venire qualche idea. Sul Nord.
di STEFANIA PIAZZO
In fin dei conti, Giorgio Squinzi non ha detto nulla di speciale al Meeting di Rimini. Ha fatto un elenco di cose che conosce anche mia madre: il Pil in calo, la disoccupazione giovanile al 40% inaccettabile, gli 80 euro inutili, sarebbe stato meglio agire sul cuneo fiscale… Eccetera. Un elenco di cose ovvie per noi, gente comune. Quel che Squinzi non ha detto, o meglio, ridetto, è invece quello che manca per chiudere il discorso.
C’era una volta, infatti, un presidente di Confindustria che, solo lo scorso anno, ebbe il coraggio di dire alla politica – allora c’era il vacuo Letta – nel corso dell’assemblea dell’associazione, che «il Nord è sull’orlo di un baratro economico che trascinerebbe tutto il Paese indietro di mezzo secolo».
Risposte della politica? Meno che zero. Repliche di circostanza dallo premier spilungone e morta lì.
Quest’anno, come è andata? Non meglio. Perché all’assemblea annuale di Confindustria, Renzi non si era nemmeno presentato. Si fece vivo poco dopo in Veneto, dagli imprenditori di Vicenza e Verona, per dire che avrebbe semplificato il fisco e sbloccato le infrastrutture.
Erano tempi, e ci riferiamo agli ultimi due anni geologici della politica, in cui il Pd litigava ancora in casa, quando il segretario del Pd piemontese, Gianfranco Morgando, si era dimesso in protesta contro un esecutivo che non vedeva esponenti del Nord-Ovest in posizioni decisionali.
Lo stesso accadeva in casa dell’allora Pdl, quando la cuneese Laura Ravetto protestò per gli stessi motivi.
Ve la ricordate la protesta di OccupyPd con epicentro a Torino, e con code nella Brianza con Pippo Civati?
C’erano più Nord, allora, un Nord politico, un Nord industriale, un Nord movimentista. In chiave anti-romana.
Oggi? Oggi nella politica dell’apparato c’è il fantasma della macroregione maroniana, che è sempre più una barzelletta e anche l’ultima volta che se ne era parlato, Squinzi presente, nel febbraio scorso durante un convegno per il rilancio delle infrastrutture, non si andò oltre la declamazione: ma-cro-re-gio-ne. Punto.
Squinzi però in quell’occasione aveva detto: “Far ripartire il Nord per far ripartire il Paese” mettendo al centro del suo intervento la “questione settentrionale”. Una “questione che vede al centro l’emergenza lavoro: la manifattura italiana – spiegava Squinzi – ha perso il 25 per cento dei suoi volumi, nonostante non manchino settori, come quelli delle macchine da imballaggio, l’alimentare o il farmaceutico, che crescono soprattutto grazie ai successi dell’export”. Ma “senza un sistema paese gli ostacoli diventano più difficili da affrontare”. “Abbiamo bisogno di un paese normale dove i costi del lavoro siano contenuti, il fisco meno oppressivo e i tempi della giustizia più rapidi”.
Ancora, due anni fa, nel suo intervento all’assemblea degli industriali di Varese e provincia (un luogo insomma non a caso) aveva dichiarato rompendo il muro del silenzio confindustriale: “Esiste una questione settentrionale. E’ una parte del Paese ricca che si confronta con le zone più ricche del mondo”, ma “non siamo più un paese attraente per le imprese”.
“E’ una parte del Paese ricca che si confronta con le zone più ricche del mondo. Sanità e servizi pubblici funzionano in modo più che accettabile ma il nord soffre considerevolmente in termini di reddito e occupazione e sconta il fatto che in Italia non è stata portata avanti una vera politica industriale”.
E oggi? Il Nord è sparito dagli orizzonti di Confindustria, i ragionamenti sono nazionali, si parla per concetti di macroeconomia scontata. Non è politicamente corretto affrontare l’economia secondo la logica del salvare il salvabile. Oggi o si va tutti a fondo o si galleggia a malapena, finché il Nord, l’innominato, tiene botta. Giusto, Squinzi?