/

Sistema portuale Mar Occidentale: la grande rapina da parte di Roma

foto genova6di Andrea Vella – Da qualche tempo si è tornato a parlare di autonomia finanziaria dei porti, che vuol dire per le Autorità portuali avere la capacità di gestire autonomamente le risorse incamerate dalle tasse e dai diritti portuali stessi. Parlando di numeri il Sistema portuale del Mar Occidentale, ossia la neo denominazione del sistema portuale ligure a seguito della riforma del 2016, che ingloba Genova, Savona e Vado Ligure, produce annualmente circa 6 miliardi di euro tra Iva e accise e che fanno rotta di sola andata verso Roma. A ritornare invece sono poche decine di milioni di euro, ossia la ripartizione di un fondo formato dall’1% dell’Iva complessivamente incassata dallo Stato attraverso i porti. Se poi pensiamo che il sistema porti italiano produce circa 12 miliardi di euro totali, solo la parte ligure ne fa da sola la metà.

Più nello specifico le risorse finanziarie dei porti europei si compongono di entrate dalla gestione delle aree portuali (entrate correnti) e finanziamenti pubblici. Tra le entrate correnti consideriamo tasse, diritti marittimi, canoni demaniali e proventi derivanti dal rilascio di concessioni e autorizzazioni per svolgere operazioni e servizi portuali, nonché da introiti di varia natura. La maggioranza del reddito a livello comunitario deriva dalla riscossione di tasse e diritti marittimi. I porti spagnoli, nello specifico Barcellona e Valencia hanno gli introiti derivanti dai diritti portuali che rappresentano il 36-37% delle entrate correnti; nel porto francese di Marsiglia la percentuale è aumentata ed a Rotterdam è pari a circa il 51%. I porti italiani invece godono di un’autonomia finanziaria ridotta rispetto a quella della maggior parte delle altre realtà portuali europee. La minor autonomia dipende dal gettito fiscale applicato alle tasse riscosse, tali entrate sono sempre state di competenza del bilancio statale.

Lo stesso lo si può dire con riguardo alla percentuale di incidenza dei diritti portuali, che a livello europeo hanno una incidenza quasi doppia rispetto ai porti liguri. Una delle cause di tale percentuale minima è derivante dalla sproporzione tra canoni demaniali delle entrate correnti rispetto al gettito fiscale derivante dalla riscossone di tasse e diritti marittimi sul traffico portuale; un’altra ragione probabilmente è il ridotto ammontare di tasse e diritti marittimi rispetto alle tasse e diritti applicati negli altri porti europei che, viceversa, sembrano coerenti con il mercato di riferimento.

Viceversa guardando ai canoni demaniali vediamo una notevole superiore incidenza fra le entrate delle Autorità Portuali italiane rispetto agli altri porti europei; si tratta di un’incidenza del 51% sulle entrate correnti dei porti liguri, contro il 29% dei principali porti europei comprovando il notevole svantaggio competitivo dei nostri porti. Negli altri porti europei inoltre si registra un rapporto di diretta proporzionalità tra volumi di merci movimentate ed i ricavi derivanti dalla riscossione di tasse e diritti portuali e gli Enti di gestione dei porti incamerano direttamente quel gettito.

Ovviamente i porti italiani non si limitano a queste tipologie di entrata, dato che è poi evidente che gran parte di queste entrata è trattenuta dallo Stato. L’Europa, gli altri Partner europei, dotano gli enti di gestione del sistema portuale di una importante autonomia, attribuendo loro risorse ingenti e direttamente correlate al volume di traffico che interessa lo scalo di riferimento.

Questo concetto è ancor più evidente se si guarda poi ai progetti realizzati in giro per l’Europa in ambito portuale, spesso grazie proprio alla maggior operatività e autonomia finanziaria e decisionale delle Autorità Portuali europee. Ad esempio l’Euromax Terminal di Rotterdam, progetto relativo all’area Maasvlakte. L’investimento complessivo per il nuovo terminal da 1,7 milioni di TEU/anno, operativo dalla fine del 2007, è stato di 525 milioni di euro, di cui 300 milioni (57% del totale) investiti dall’Autorità portuale di Rotterdam, che nel 2004 ha ottenuto a tale scopo un finanziamento dalla BEI di 200 milioni, e 225 milioni investiti dalla joint venture costituita da European Container Terminal e Nedlloyd B.V. L’investimento pubblico ha finanziato l’infrastruttura e le opere di dragaggio, mentre l’investimento privato ha finanziato lo sviluppo del nuovi terminal, comprese le sovrastrutture e le attrezzature.In Italia invece è lo Stato centrale a beneficiare del gettito fiscale (prodotto dall’imposizione di IVA, tributi ed accise nei porti) e ad incassare direttamente tasse e diritti marittimi, devolvendo alle Autorità portuali, una fetta minima che ragguagliamo intorno al 50% degli introiti relativi all’imposizione della tassa di imbarco e sbarco sulle merci movimentate, risorse quest’ultime, tra l’altro destinate in primis alle spese di manutenzione ordinaria e straordinaria delle parti comuni del porto, non certamente, al finanziamento delle importantissime opere di grande infrastrutturazione portuale, rendendo del tutto impraticabile il modello visto precedentemente nel caso di Rotterdam.
Tratto dall’articolo del 03/05/2018 pubblicato su Supràtutto

Print Friendly, PDF & Email
Articolo precedente

Svizzera, 10 anni per fare un cantone. Italia, 60 anni per fare la macroregione

Articolo successivo

SE LO STATO E' MINIMO LA BUSTA PAGA E' PESANTE. Prendiamo esempio dai Cantoni