di STEFANIA PIAZZO – Lindipendenza ha compiuto sette anni. Buon compleanno! E questo è il mio quinto anno di direzione responsabile.
L’indipendenza è ancora un concetto spendibile? E’ attuale? In questi giorni un ex collega de la Padania, Paolo Bassi, ricordava su facebook la copertina del primo numero de La Padania, che, se ancora in edicola, avrebbe compiuto 22 anni. Io c’ero quell’8 gennaio 1997. E c’ero anche prima sin dai tempi di Lombardia Autonomista. Commentavo, sul post dell’amico Paolo, proprio i titoli di quella lontana prima pagina. Un fondo di Umberto Bossi: Padania, ecco la parola giusta. In apertura, Ministeri a delinquere. E un altro editoriale, Tricolore simbolo romano. Cosa ci trovate di strano in questi titoli? Io proprio nulla. L’imbarazzante attualità è stata chiusa quattro anni fa, perché i fondi all’editoria erano finiti e perché far sopravvivere una testata così storica, anche solo online, sarebbe stato ingombrante per una leadership sovranista. Infatti la collega Cristina Malaguti, poco sotto al mio posto, commenta così: “Oggi quel giornale è morto proprio per mano di chi adesso occupa quei ministeri e siede sulle poltrone tanto odiate in passato, proprio da chi il tricolore mal sopportava e che adesso ne sta facendo bandiera di “compagnia” cantante… ma forse è meglio così… perché di tutte le accuse e le battaglie passate è rimasto solo un cumulo di ceneri. È proprio un mondo alla rovescia… e quel che è peggio è che al sud ci credono!!”.
Sostenuta ieri come oggi grazie al suo editore Roberto Bernardelli, che fu lungimirante, l’Indipendenza quando nacque, nel gennaio 2012, voleva essere alternativa al quotidiano organo ufficiale della Lega. Una scelta per dare voce alle voci che non avevano più casa sia in quel quotidiano sia nel partito che lo aveva partorito. Un giornale schiacciato dagli spazzi lottizzati dai colonnelli, che misuravano le fotografie degli avversari interni per reclamare una foto più grande nella stessa posizione, possibilmente “davanti”. Ego politico.
L’autonomia così è andata via via indietro. E l’indipendenza pure. Di fatto e di pensiero. Oggi sono gli altri quotidiani, La Stampa di recente, a occuparsi degli indipendentismi europei. Come nel caso dell’intervista a Oriol Junqueras, leader indipendentista Catalano, rinchiuso nel carcere di Lledoners, dopo il referendum per l’indipendenza della Catalogna del primo ottobre 2017. O sono quotidiani come Libero, vicino a Salvini, a dover titolare ogni tanto che esistono due Italie, un Nord e un Sud con distanze siderali. D’altra parte, la questione del Nord e della libertà addormentata, fa sempre cassetta. Titilla i leghisti e gli ex leghisti. Ma lo aveva scritto già la Padania 22 anni fa. Né la Stampa né Libero sono sinceramente giornali del Nord. Come non lo è il Corriere anche quando scriveva, come nel luglio scorso, che “Il Sud ci fa sprofondare e allontanare dall’Europa”. Quindi, dove sta anche il Corriere?
Quando nel novembre 2014 fecero chiudere la Padania, ricordo di aver scritto che il 9 maggio del 1945 la Germania si era trovata davanti ad un bivio. Risorgere o restare perdente. Auferstanden aus Ruinen. E così fu: risorti dalle rovine. L’inno della Ddr declamava:
“Risorti dalle rovine e rivolti al futuro, (…) Se ci uniamo fraternamente sconfiggeremo il nemico del popolo! (…).
Orsù, ariamo e costruiamo, imparate e create come mai prima e, fiduciosa nella propria forza, sorge una stirpe libera…”.
Il fatto era che le metriche dell’inno della Germania unificata, Das Lied der Deutschen e di Auferstanden aus Ruinen sono (intenzionalmente) identiche, hanno come base comune, l’inno popolare austroungarico di Haydn, e quindi possono essere cantate l’una sulla musica dell’altra.
Oggi sia il federalismo, che l’autonomia o il sogno indipendentista, ripartono da delle rovine. E così pure le piccole avanguardie giornalistiche con modeste ambizioni culturali come lindipendenzanuova, ripartono da delle rovine. Le rovine di una rovinosa politica, le rovine di una editoria spazzata via dalla presunzione che la rete sia meglio del fare giornalismo, costando meno. Le rovine di una società impoverita, imbruttita, che è smarrita e non trova stature politiche solide, al di là della sicurezza mediatica di Salvini.
“Oggi né più né meno la nostra gente ha fame di sapere e di anima, di speranza”, scrivevo nell’ode funebre alla Padania. Anche oggi “la mercanzia che manca è la speranza ed è la cultura che l’alimenta, niente meno che attraverso la comunicazione, anche attraverso i giornali. Perché si sta perdendo coscienza di vivere in una terra attratta dal Nord, verso il Nord, che ha come casa la Mitteleuropa, una storia di relazioni, di un’anima e di un’identità in gran parte sommersa ed espropriata dalla storia “artificiale” di uno Stato-Nazione. Che mancano, o sono troppo pochi e frammentari, sono proprio i luoghi dove raccontarla, dove dare cibo a questa memoria”.
Oggi, più che mai, quest’area di pensiero che ondeggia tra l’indipendentismo e il federalismo e lo scontro frontale contro il neocentralismo ben rappresentato da destra e da sinistra e il neopopulismo, perfettamente intercambiabili, in un paese senza opposizione, che offerta informativa trova? Quotidianamente, solo questa. E’ poco. Ma poco è infinitamente più di nulla. Purché si usi e si legga. Buon compleanno Indipendenza!