di SERGIO BIANCHINI – Tempo fa partecipai ad una esibizione dei tre cori del comune in cui abito. La manifestazione si svolgeva nella sede di una delle due parrocchie del paese. Uno dei tre cori ha cantato canzoni milanesi, sarde e venete e pugliesi ricostruendo la vicenda del comune con gli arrivi nel territorio agricolo della periferia milanese di innumerevoli italiani delle regioni meridionali degli anni ‘50 e ‘60.
Tutti erano allegri e contenti del buon clima relazionale creatosi nel paese. Penso che l’organizzatore volesse sottolineare gli effetti benefici dell’accoglienza incoraggiando(senza dirlo)a fare altrettanto con gli extracomunitari. Nello svolgere il censimento, per alzata di mano su base provinciale, dei presenti ha commesso un errore perchè, ironizzando, pensava che i milanesi fossero pochissimi ed invece erano quasi la metà. I nordici erano almeno I due terzi. Di sardi, che dava come tradizionale presenza numerosa, ce n’era uno solo. Ciò ha confermato la mia tesi che il punto di accumulazione del nordismo è più la parrocchia che la lega nord.
Ho percepito chiaramente la nostra doppiezza. Chiunque non sia del paese era ed è visto come uno straniero, una estraneità benevola perchè contemporaneamente la nostra moralità profonda, cattolica e non, impone la buona e amichevole accoglienza dello straniero stesso.
I veneti sono stati definiti i terroni del nord, i pugliesi definiti pugliesi. Gli africani sarebbero definti africani. Ma la domanda su quali siano i nostri doveri morali e se siano rapportabili o meno con i confini nazionali non ho osato farla anche se aleggiava nel salone. La eventuale necessità di distinguere tra italiani e stranieri, tra stranieri legali ed illegali, tra stranieri economicamente autosufficienti e stranieri a carico nemmeno. Non ho voluto aprire questo dibattito perchè mi sono reso conto che avrei colpito rudemente l’ingenua fiducia nella bonarietà paesana trasformando una serata festosa in un momento di doloroso e aspro confronto politico.
La bonarietà paesana è effettivamente una caratteristica dei nostri paesi. Che si accompagna ad una assenza quasi generalizzata di una coscienza nazionale.
La messa solenne della domenica successiva mi ha fatto toccare con mano una verità che tutti possono accertare. La bonarietà della nostra morale paesana è figlia della prevalenza assoluta del cattolicesimo nella storia dell’Italia.
Nei nostri comuni, ancora oggi, il principe è il prete. E’ vero che la politica ha un forte peso ma proprio nella cerimonia che vedeva presenti il sindaco a fine mandato con due vigili e 3 carabinieri, emergeva come vero sovrano il prete sull’altare.
Il sindaco ha esposto in 5 minuti la sua visione, la necessità e l’utilità della collaborazione tra I due poteri distinti della comunità. Ma era evidente che il principe era sull’altare, con la predica, le vesti splendenti e sacre, il coro ed il popolo pendente dalla sue labbra.
Delle tre figure presenti nella “casa del signore” il sindaco, pur essendo eletto e incaricato di amministrare il comune, è la meno potente.
In primo luogo perchè, esclusa la sua base elettorale, è solo. Persino il segretario comunale non dipende da lui ma dal ministro dell’interno. Quali sono i reali poteri discrezionali del sindaco? Meno di quanto si pensi. Il carabiniere è inglobato in una forte struttura nazionale che lo controlla e lo sostiene.
Il prete è inserito in un fortissimo sistema di relazioni con gli altri sacerdoti del circondario e con il vescovo. Tramite il vescovo è poi collegato ai vertici della Chiesa cattolica che, sebbene in calo in europa, è la più potente organizzazione no profit e no state del mondo. Fino a 50 anni fa gli asili erano cattolici e le maestre quasi tutte di formazione cattolica. La scuola pubblica è stata, per qualche decennio, il principale contraltare del prete e dell’oratorio. Ma poi si è avvizzita ed ancora oggi languisce.
Nella cerimonia ha parlato anche un vecchio parroco nel cinquantesimo della sua vestizione. Con grande sapienza storica ed umana ha catturato l’attenzione del pubblico parlando, in modo sommesso ma sorprendentemente e radicalmente autocritico, dei mali della Chiesa, del fatto che le vocazioni sono in calo “forse perchè I seminari sono pieni di stupidaggini e dio non vuole preti così futili e insignificanti e per questo non manda le vocazioni”.
Sì, la solennità, la grandiosità, il pensiero della vita e della morte, la parola penetrante, l’esempio illuminante ed inequivocabile, il gusto della verità vera e semplice sono ancora di stanza nella cornice ricca e maestosa della Chiesa cattolica. Il potere civico non regge assolutamente il confronto. Il potere civico in Italia è quasi un nanerottolo in confronto al potere cattolico.
E non è solo una prevalenza qualitativa è anche, quasi, quantitativa. Consideriamo la regione Lombardia.
Nella regione Lombardia la Chiesa dispone di circa 5000 preti sparsi in maggioranza nelle parrocchie dei circa 1100 comuni. In parte nelle strutture vescovili o delle varie congregazioni. In pratica ogni 2000 abitanti c’è un prete, una persona con un livello culturale altissimo ed una dedizione “professionale” senza eguali.
Dedizione che è resa illimitata dal divieto di matrimonio dei preti.
Questo personale è costruito secondo i dettami della tradizione organizzativa cattolica che ben comprende la grandezza dell’educazione e della persuasione profonda nei comportamenti umani. Che ben conosce e apprezza la forza della mitezza sapiente e generosa la quale sovrasta la potenza muscolare delle leggi, dei regolamenti e degli apparati statali. E sa usare sapientemente (al suo interno) gli uni e gli altri.
Certo la Chiesa conosce l’importanza della pubblica opinione e la sua mutevolezza e mai può sopportare di essere invisa all’opinione pubblica. O almeno all’opinione pubblica italiana dato che in fin dei conti è quella del paese ancora per lei fondamentale. Senza Italia e senza Italia del Nord la chiesa cattolica oggi non potrebbe esistere. Forse in futuro le cose cambieranno ed in parte stanno gia cambiando. Ma adesso prevale ancora la radice storica.
Nella comunità della regione Lombardia il potere civile dispone di 1100 sindaci e consigli comunali, di 12 consigli provinciali e di un consiglio regionale. I dipendenti della regione sono in tutto circa 5000 circa e quelli dei comuni 50-60 mila. A formare l’opinione pubblica contribuiscono certo la scuola ed i media che vedono in Lombardia circa 120.000 insegnanti statali con 1000 presidi e circa 6000 giornalisti professionisti.
Ovviamente il prete va paragonato, come livello culturale ed importanza decisionale, ad un manager e almeno ad un sindaco. Tralasciando il fatto che il numero di cattolici praticanti tra gli insegnanti ed i giornalisti è elevato bisogna sottolineare che la relazione tra Chiesa e fedeli non è solo di tipo discendente ma anche ascendente e che il prete ha nel suo “popolo” una situazione di full immersion. E’ un “principe” di paese o di quartiere che sa ascoltare, influenza e si fa influenzare dai suoi sudditi. Sale e scende, quando è bravo, continuamente tra le vicende della vita quotidiana e i cieli dell’ideale eterno.
Il confronto delle forze laiche e religiose in Lombardia si può riassumere così: il personale dirigente delle istituzioni civili lombarde, delle scuola e dei media si può quantificare in 6-7 mila persone a fronte dei 5000 preti cattolici.
Nella storia dei nostri comuni dove si è formato in secoli il nocciolo del comune sentire il prete ha sempre avuto un ruolo preminente. Inoltre il prete, essendo collegato continuamente ed attivamente, tramite la gerarchia vescovile, alla più potente organizzazione spirituale( europea per secoli ed oggi mondiale) ha sempre svolto il ruolo di raccordo tra il potere locale e quello regionale o nazionale. Lo ha svolto nei principati italiani prima dell’unità d’italia e dopo alcuni decenni di contrasto anche nell’italia unitaria a partire almeno dalla prima Guerra mondiale.
Ora l’assetto di questa complementarietà di fatto sta diventando molto problematico sia per lo stato italiano che per la chiesa cattolica che tende a non avere più l’italia come baricentro.
Certamente l’attuale crisi del cattolicesimo con il calo delle vocazioni in italia(ma la crescita nel mondo) e la crisi dello stato e della nazione Italiana hanno qualcosa in comune.
La crisi totale dello stato nazionale e la crisi economica insolubile stanno intaccando il nocciolo bipolare sia dello stato che della chiesa.
Da un lato il nostro radicale altruismo egoistico (esemplare la stimatissima Gabanelli che propone alle ONG di continuare sì i prelievi di africani ma di portare i prelevati in Francia), il nostro (verso i nostri compatrioti) spietato buonismo, la nostra doppiezza sta diventando spasmodica. Si avvicina ormai ad una vera e propria schizofrenia di massa che rende impossibile costruire governi realistici del paese e dei suoi problemi.
Dall’altro già 3 papi, praticamente consecutivi, sono di origine straniera. Il baricentro del cattolicesimo si sposta ma il suo nido principale è ancora l’Italia con Roma capitale biforcuta, sia nazionale che mondiale. Ciò oggi sottrae risorse al paese caricando l’italia di oneri e non più di soluzioni.
L’italia vede acuite tutte le tensioni territoriali essendo un aggregato di tre realtà molto differenti e con dinamiche asincrone che non sono equamente rappresentate e governate. La crisi dello stato e la mancanza di governo del sistema sono, da decenni, e restano, drammatiche.
Concludo temporaneamente dicendo e dicendomi che programmi politici veri e risolutivi non possono essere dettati da impeti e sdegni temporanei. Devono misurarsi con tutte le considerazioni precedenti.
Ed io credo che tra persone sincere e di buona volontà si possano trovare.