Se ci fosse un vero asse del Nord

di DISCANTA BAUCHI

Berlusconi parla già di un asse del Nord con la Lega dopo la vittoria di Padova del Carroccio. Anni luce fa… Ma a Pavia, dove il miglior sindaco del suo partito, Cattaneo, aveva perso in alleanza proprio con la Lega, la “Lega dei Comuni” usciva sconfitta.

Padova, era passata in mano a Massimo Bitonci fino al 2017, già primo cittadino di Cittadella, promotore delle prime ordinanze anti rom e anti immigrati, impugnate a suo tempo dai prefetti, era anche capogruppo in Senato ed era una delle ex fronde tosiane (fu suo concorrente alla segreteria della Liga Veneta, che perse per un soffio, come portavoce dell’anima indipendentista, ma poi che ne fu del suo “fervore” una volta arrivato a Palazzo Madama? “Baratto” o tempi che cambiano?, ndr).

Livorno in quegli anni era andata in mano ai grillini, che spodestavano con una rimonta straordinaria, la sinistra toscana. Anche Perugia andava al centrodestra, dopo mezzo secolo di dominio rosso.

Ma ieri come oggi tirare le somme del voto comunale e trarne una indicazione di politica generale è un errore. Perché i territori sono una cosa a sé. Perché i partiti, paese per paese, provincia per provincia, cambiano pelle e persone e il voto sotto il campanile ha una sua identità che sfugge alle logiche del voto d’opinione. Le europee erano un referendum su Renzi e così è stato, il gradimento della popolazione aveva premiato la caduta della vecchia classe dirigente del Pd e la decadenza berlusconiana. Nessuno di loro capace di dire qualcosa di nuovo, di comunicare almeno freschezza. Acqua fresca, d’accordo, ma almeno nessuna ribollita.

Dunque, parlare di rinascita così come di tramonto è tutto relativo. La differenza la fanno i rapporti umani, l’incisività delle azioni locali, il porta a porta. Ancora una volta è la capacità di comunicare in politica a far breccia, il resto non conta. Il voto è mobile, si sposta in blocco non sta più né a destra né a sinistra, mette nel carrello l’offerta più vantaggiosa ad ogni promozione. Gli zoccoli duri dei partiti restano ma non sono più quelli a determinare la tenuta, tanto più che trovare delle sedi di partito vere e riunioni di sezione vere e affollate è un ricordo da Giovanni Guareschi.

La crisi dei partiti è il risultato del voto così disomogeneo e altalenante. Si sono mangiati la democrazia e rappresentano una titolarità apparente della sovranità.

Democrazia e libertà sono due principi diversi e lontani.  La libertà suppone uomini liberi e, dunque, l’educazione. La democrazia è un contenitore: dipende da che cosa ci si mette dentro. I greci parlavano di Paideia, un grande e nobile percorso per tirare fuori (e-ducare) uomini liberi, cioè “formati”, dalla massa in-forme, priva di forma. Sarà anche per questo che i demagoghi non amano né la cultura né l’educazione, come, giusto per fare un esempio, un politico ha sempre negato che scuola ed educazione siano temi degni di essere trattati.
Meglio comiziare sui vagoni separati della metropolitana milanese, per italiani (o padani) ed extracomunitari (chi, poi, i norvegesi? gli americani?).

Insomma, l’asse del Nord è naufragato. Eppure il centrodestra governa il Piemonte, la Liguria, la Lombardia, il Veneto, il Friuli Venezia Giulia. Ma nessun fa la rivoluzione, nessuno. La libertà non è cosa per tutti.

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