Satira civile, vilipendio all’islam

islamico anti-occidentaledi ROMANO BRACALINI – Me li immagino i quieti, tolleranti, sobri danesi, insieme ai cugini norvegesi, alle prese con i parrucconi musulmani per via dei fumetti “diffamatori” del profeta Maometto raffigurato con il turbante a forma di bomba. Prima l’incredulità e qualche fondato timore per i disegnatori, infine l’ironia, il distacco, la consapevolezza di Copenaghen che col Me-dioevo la distanza è francamente eccessiva; e la definitiva e serena risposta del governo danese: niente scuse, come avrebbero prete-so i bacucchi. Sarebbe stato perfino superfluo aggiungere che fin dai tempi di Alì Baba e i quaranta ladroni della novellistica orientale, la stampa in Danimarca è sempre stata libera e non esistono reati di opinione punibili con la forca. Il limite del mondo musulmano, la sua debolezza e arretratezza culturale, è di non fare alcun sforzo mentale per valutare e comprendere la diversità che ce lo rendono indigesto e incompatibile.

Sebbene l’angusto e spaventevole mondo musulmano abbia concesso tardivamente, e con molte eccezioni, la rappresenta-zione della figura umana, basterebbe l’accenno poco riguardoso al profeta per esse-re messi a morte.
Cosa assai improbabile nelle dittature musulma-ne. Ma probabilmente passerebbe inosservato ogni riferimento offensi-vo alla religione cristiana, quanto agli ebrei sarebbe concesso solo di parlarne come di bestie immonde, come normalmente vengono rappresentati nei libri di testo per le scuole. Solo la tracotanza di governi cor-rotti e ignoranti poteva ritenere che la protesta inconsulta e esagitata im-pressionasse il governo e l’opinione pubblica di un paese di antica civiltà.
Nessuno ha sottovalutata la minaccia selvaggia e incollerica, ma non a prezzo di rinunciare al complesso doveroso di dignità, deco-ro e sangue freddo. Ai ricattatori professio-nali, ai millantatori abituali non bisogna fare la minima concessione.

Così dopo le note ufficiali, dopo le minacce di rito dei tagliagole e gli ordini di boicottare le merci dei due paese scandinavi, è stata aizzata la piazza sdentata e belluina, in un patto di esecrazione comune che andava dall’Arabia Saudita ai terroristi di Bin Laden ed Hamas. In queste occasioni nell’Islam è sempre venerdì, cioè festa, ed il lavoro lan-gue sebbene nelle terre del profeta non sia tenuto in grande considerazione. La figura del profeta è il paradigma dei complessi d’inferiorità dell’Islam, il simbo-lo stesso del riscatto che inutilmente ricerca da secoli trovando più comodo attribuire all’Occidente le cause del fallimento. Così l’oltraggio al profeta va al di là del significato meramente “sacrilego”, ma viene interpretato come il vilipendio di una nazione subalterna e umiliata dallo strapotere occidentale. Quale significato possono avere le ambizioni nucleari dell’Iran se non quello di un confronto militare con l’Occidente, per ora forse lontano ma non escluso a priori!
Complessi di colpa che giovano poco alla sua crescita e alla sua credibilità.

L’indignazione da un capo all’altro del vasto e multiforme califfato mu-sulmano, senza un centro unico riconosciuto, né unità di intenti, è stata improvvisa e montata a comando e per contagio, come un’infezione o un virus. Le masse musulmane, eccitate e in stracci, sempre in armi ad abbaiare alla luna, largamente analfabete e fanatizzate, si prestano docilmente ai comandi della propaganda subdola e mendace.
La tutela della propria onorabilità consiste in-nanzitutto per il musulmano nell’impedire all’Occidente qualsiasi riferimento al pro-feta, che già suonerebbe blasfemo, come le fonti letterarie occidentali hanno sempre fatto in passato; e solo per la condizione di sudditanza dell’Islam non si era potuto impedire che si commettese impunemente lo scempio della figura di Maometto, male interpretato, condannato o deriso.
C’è una vasta casistica a proposito. Gli arabi non hanno mai sopportato che Dante avesse messo Maometto nell’Inferno, canto XXVIII:
«Mentre che tutto in lui veder m’attacco, guardommi, e con le man s’aperse il petto, dicendo: Or vedi com’io mi dilacco!».

Vedi come storpiato è Maometto! Storpiato sta per malconcio. Maometto nel Medio Evo cristiano era considerato uno scismatico, perché si credeva che fosse stato cristiano, o addirittura un cardinale deluso nelle sue speranze di diventare papa. Non poteva esserci peggiore calunnia per gli ara-bi, che trovarono un altro motivo d’odio per i cristiani. Dante ne aveva fatto una figura psicologicamente rozza, ma pur significativa nella sua vanità impietosa. Il Corano era descritto come una lettura noiosa, ampollosa e falsa. Falsa perché, a fronte dell’interpreta-zione occidentale, esaltavano lo spirito di umiltà e di commiserazione. Ma Maometto elogiava la guerra e la conquista. Disse: «Il paradiso è all’ombra delle spade». Quanto
alle donne, capitolo essenziale, disse «Ono-rate le donne che non si tolgono il velo». Ma lui le preferiva senza veli. Voltaire lo giudicò per quel che era e scrisse: «È probabile che,all’inizio, Maometto non fosse che un fanatico, come lo fu Cromwell all’inizio della guer-ra civile: tutti e due si servirono dell’intelli-genza e del coraggio per assicurare il successo del loro fanatismo». Definizione che non suonava troppo lusinghiera per Cromwell, considerato spietato conquistatore e detrat-tore dei diritti umani, messo sullo stesso piano di Maometto. Napoleone aggiungeva un aspetto poco onorevole. Leggendo il Maometto di Voltaire nel forzato ritiro di Sant’Elena fu sentito esclamare: «Ci sono dei bei versi, ma la verità storica non è rispettata! Maometto innamorato! Al massimo avrà stuprato…». Dice Thomas Carlyle: «Aveva molti di-fetti. Era un uomo incolto e semibarbaro, figlio della Natura, c’era in lui ancora molto del beduino. Dobbiamo prenderlo
per quel che era…».

Ernest Renan: «Egli ripeteva continuamente di non essere né un poeta né un mago, il volgo infatti era continuamente tentato di confondere fra loro queste due categorie d’uomini, ed è vero che il suo stile rimato e sentenzioso aveva qualche rassomiglianza con quello dei maghi…». Victor Hugo lo immagina ormai vecchio, austero, come se presentisse l’avvicinarsi della sua ora. «Non rivolgeva più rimproveri ad alcuno; camminava, rispondendo al salu-to di ogni passante, e ricordando gli anni in cui era stato cammelliere. Lo si vedeva invec-chiare di giorno in giorno sebbene non aves-se che venti peli bianchi nella barba nera». Ma gli occhi erano ancora buoni e non si appagava solo di caste e innocenti visioni. «Meditava a lungo davanti al sacro pilastro; di tanto in tanto comandava a una delle sue donne di denudarsi, e la guardava, per poi contemplare le nubi, e diceva: «La bellezza sulla terra, la luce nel cielo». Avvertenza per l’inquisizione musulmana. Gli autori delle citazioni son tutti morti.

 

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