di ROMANO BRACALINI – Luigi di Maio, il nero di Avellino, scrive un disgraziatissimo twitter e cade sul congiuntivo: “Se c’è rischio che le massime istituzioni venissero spiate qual è livello di sicurezza che si garantisce alle imprese e cittadini?”. Mancano alcuni articoli ma il disastro è quel “venissero”.
La rete ride e lo prende in giro. Lui cambia ma sbaglia ancora: “Se c’è rischio che soggetti spiano massime istituzioni.”. Ci prova una terza volta col medesimo deludente risultato. “Se c’è rischio che due soggetti spiassero….”. Di Maio ha frequentato l’università di Napoli che tra gli atenei più qualificati non viene nemmeno per ultimo. Avellino non è l’accademia della crusca. E il povero Di Maio, badilante della lingua, parvenus della politica, fa quel che può. Del resto è in buona compagnia.
Michele Santoro è tornato in TV, ma la lingua è sempre la stessa: “Di che venisse, dì che portasse” è l’intercalare del salernitano che in una trasmissione di Celentano, anch’egli della TV dei ripetenti, appariva in veste di “martire” della libertà di stampa. Era stato appena licenziato dalla RAI e chiamato dal molleggiato, Santoro, i bargigli penzoloni, un po’ appesantito dall’esilio europeo a 144.000 euro di stipendio, gridava rivolto alla platea: “Rivoglio il mio microfono”, senza l’obbligo di un ripasso veloce della grammatica. Applausi e grida. Il pubblico televisivo applaudirebbe anche Nerone. Quella sera non ci furono più remore alla finzione e sotto la baracconata di comprimari e mezze calzette, Santoro, incoraggiato da Celentano, lanciava un vaticinio sgrammaticato ai compagni di lavoro. “Loro si preparassero a tornare”. La lingua langue ma la passione politica era sincera. Ed ecco il grido liberatorio: “Viva la fratellanza, viva l’uguaglianza, viva la cultura, viva la libertà”: e se ne va. Eia eia alalà.
Hai la lingua che vacilla? La RAI guarda piuttosto le credenziali e l’apprendistato di partito. Lucia Annunziata è conterranea di Santoro essendo anch’essa di Salerno, patria della mozzarella dove si raddoppia la B e si ignora il congiuntivo. L’Annunziata ha una lingua che non si può dire elegante. Un tempo la RAI obbligava il giornalisti a frequentare corsi di dizione a Siena. Con l’arrembaggio di piazzisti televisivi come Santoro e Annunziata l’obbligo decadde per l’indiscussa inutilità d’ogni umano sforzo.Cosa avrebbe mai potuto ricondurre un Santoro al rispetto della grammatica e l’Annunziata a una più corretta dizione?
Santoro e Annunziata, e da ultimo l’inconsistente Di Maio che rende onore alla tradizione e rinnova un vocabolario sgualcito, hanno sempre fatto professione di libertà d’espressione ma con licenza di ammazzare la lingua, come fece a suo tempo Santoro nel caravanserraglio di Celentano. La messinscena era fantasmagorica, come l’Aida. Ma un asino resta un asino.