
di SERGIO BIANCHINI – Nel linguaggio giuridico relativo agli interventi marittimi sui natanti in difficoltà si distinguono tre tipologie.
Il salvataggio, il rimorchio, il recupero. La distinzione è molto concreta e riguarda i diritti al rimborso delle spese sostenute dal natante o dal mezzo che interviene a soccorso e che ha diritto ad una percentuale variabile del valore del mezzo recuperato o rimorchiato o salvato.
La nozione di salvataggio è molto specifica e precisa. Richiede e necessita dell’immediatezza del pericolo.
Negli interventi in mare relativi alle imbarcazioni cariche di africani si parla sempre di salvataggi. Ciò chiaramente, se vero, giustificherebbe l’obbligatorietà degli interventi, seppure difronte non ad una loro successiva ricompensa ma al contrario con la conseguenza di una illimitata e non gradita onerosità sulla finanza pubblica.
Gli episodi narrati, se analizzati davvero, escludono quasi sempre la tipologia del “salvataggio”. Infatti avvengono sempre, o quasi, in acque tranquille e i “salvati” arrivano perfino a negoziare le condizioni stesse del salvataggio, rifiutando l’intervento libico ed accettando solo l’intervento “europeo”.
Ciò dimostra inequivocabilmente che il natante non è in condizione di immediatezza de pericolo e che invece non ha una propria rotta di navigazione ed una propria meta legittima. Il natante viene messo in acqua quando è alle viste o in contato radio con la nave EUROPEA salvatrice. In caso di convergenza sul posto tra “salvatori” libici e ONG o altre imbarcazioni nascono spesso conflitti dove i Libici vengono ostacolati di comune accordo tra europei e“migranti”.
Il salvataggio se fosse vero non vedrebbe contrattazioni tra salvatori e salvati e la riconsegna al punto di partenza vicino dei “salvati” sarebbe ovvia. Negare poi a Tripoli, un porto aperto e soggetto ad una autorità amica dell’Italia e riconosciuta dall’ONU, la definizione di porto sicuro è una stridente forzatura.
E’ quindi evidente a mio parere che siamo difronte ad un gioco tragico, in cui i “migranti” vengono blanditi e sorretti sfruttando il loro comprensibile ma non sacrale desiderio di un maggior benessere esistenziale. Richiamati, blanditi e sorretti da organizzazioni e governi che sono interessati a mantenere, sostenere, favorire il flusso ininterrotto di africani in Europa.
Un flusso costosissimo sia sul piano economico e sociale che dell’ordine pubblico. Un flusso che non potrebbe essere giustificato apertamente con le normali argomentazioni socio politiche. Viene quindi attuato con la copertura ansiogena della parola magica : salvataggio.
La potenza e ancora prevalenza di questo abilissimo gioco alla confusione ed al depistaggio è dimostrata dal fatto che anche gli oppositori, ormai maggioritari, del prelievo massiccio giunto dal 2014 al 2017 a circa 200.000 unità annue, non confutano l’inquadramento generale del problema che continua ad essere recepito e descritto come umanitario ed emergenziale.
Certo, la presenza di Salvini al ministero degli interni è ingombrante per gli “accoglitori” proprio perché non consente più, o quasi più, le innumerevoli coperture e complicità anche insospettabili nei confronti del fenomeno. La posizione dell’accoglienza condivisa, pur ancora subordinata alla messa in scena del “salvataggio” costringe comunque, per ora, i grandi manovratori del richiamo-prelievo a perfezionare la loro strategia.
Avevano cominciato con Minniti a fingere una frenata dei prelievi. Una finzione di natura prevalentemente propagandistica che generava comunque, pur nel suo piccolo, fortissime contraddizioni culturali ed ideologiche nell’impianto culturale del mondialismo senza se e senza ma. Per fortuna si è visto che l’opinione pubblica non è totalmente manipolabile.