di ROBERT LINGARD* – A scanso di equivoci e di interpretazioni sbagliate, prima di portare l’attenzione sulla negoziazione di questi giorni tra M5S e Lega per la formazione del nuovo governo, voglio creare un parallelismo tra il mondo della politica e quello del branding di alcune multinazionali.
Sarà deformazione professionale, ma rimango profondamente convinto che, fino a che le regole del gioco saranno quelle della democrazia rappresenativa, un partito politico debba sapersi vendere per predersi anche solo un paio di assessorati a Canicattì, figuriamoci il Governo di un Paese.
Il parallelsimo che segue non è niente di intellettualemente impegnativo. Il lettore vedrà da sè, senza sforzo alcuno, che quanto descritto sarà tanto immediato quanto banale.
Cosa succederebbe se domani mattina, Tim Cook, amministratore delegato di Apple, decidesse di convocare la stampa per comunicare al mondo che no, non ci sarà alcuna fusione tra Apple e Samsung, ma tra le due aziende esistono sinergie?
Quanto crollerebbe il valore azionario di Apple sapendo che lo stesso amministratore delegato ha esplicitamente comunicato per mezzo stampa che è quasi indifferente comprare Apple o Samsung, visto che tra le due aziende esistono sinergie tali da costruire una colloborazione?
Cosa accadrebbe se James Quincey, CEO di Coca-Cola, iniziasse a costruire una sinergia con Pepsi perchè cambia la lattina ma la ricetta ed il target di consumatore sono equivalenti?
“Ok, Robert… Ma non mi puoi paragonare il mondo del business al mondo della politica!”.
Farò in modo, allora, di portare casi concreti a prova di analfabeta funzionale, per dimostrare che non esiste una struttura metodologica di marketing differente per la politica e per l’impresa.
Durante la campagna per le nazionali del 2017, il leader dei Laburisti britannici, Corbyn, andava veramente forte: nazionalizzazione delle grandi aziende, benefits per tutti, innalzamento delle aliquote fiscali sulle imprese, etc…
Tutti temi di sinistra che avevano un forte appeal in Gran Bretagna specialmente in seguito al progressivo declino della classe media-operaia che ha sofferto le delocalizzazioni e la globalizzazione.
Corbyn, tuttavia, aveva evitato di accendere la miccia sull’unico tema bruciante della campagna elettorale: la Brexit.
Corbyn, nel suo programma, aveva messo per iscritto che il voto referendario sulla Brexit non andava in alcun modo ridiscusso proprio perchè espressione della volontà del popolo.
Uno dei pochi a capire che, in quel frangente, il leader laburista stava commettendo un errore madornale in termini di opportunità politica fu l’attuale sindaco di Londra, una persona tanto oculata quanto profondamente intelligente.
Corbyn perse così le elezioni (poteva forse andare diversamente?), lasciando la fiaccola della maratona saldamente nelle mani dei conservatori.
Il leader laburista aveva ammesso pubblicamente una sinergia con il suo più acerrimo avversario politico: la Brexit s’ha da fare.
Anche nel panorama politico italiano si sono susseguiti negli anni i campioni delle sinergie: vanno sotto il nome di centristi e, quando non riciclati, sono oggi o scomparsi o non reperibili.
Pensiamo al povero Pier Ferdinando Casini o al goffo tentativo da parte di Mario Monti di politicizzarsi con il centrismo di Scelta Civica.
I centristi sono strutturalmente sinergici (e moderati proprio perché sinergici).
Conciliano per continuare a vagare nel mare di nebbia nella vacua speranza di non affondare mai.
Anche il PD renziano si è prefigurato come sinergico: nessuno governo di destra ha mai implementato riforme neoliberiste come il suo (di sinistra). Ed è per questo che il suo elettorato è stato fagocitato in maniera brutale dagli argomenti del Movimento 5 Stelle.
Sebbene nella vita sia importante sviluppare la capacità di mediare e vedere le sfumature di grigio, la moderazione e le sinergie sembrano non funzionare a livello pragmatico dal punto di vista del marketing operativo.
Già il buon Seneca lo scriveva a Lucilio: “Chi è ovunque non è in nessun luogo”.
Ma allora cosa compra l’elettore al mercato della politica?
L’elettore compra quello di cui Coca-Cola e Pepsi, Apple e Samsung, Google e Yahoo, etc… sono maestri: il marketing di opposizione.
Gli elettori comprano una visione che abbia l’ambizione di sovvertire un ordine (es. M5S) che si contendono con un antagonista (es. la vecchia politica).
L’elettore non vede le sfumature centriste, ma il bianco o il nero.
L’elettore ama lo schieramento e l’ opposizione.
Ma per sovvertire un ordine devi fare marketing di opposizione: devi saperti creare un nemico a cui opponi tutto ciò di cui sei a favore.
Nell’attuale tentativo di sinergie tra Lega e Movimento 5 Stelle, Salvini ha formigonianamente (e quindi, a sua insaputa) eroso ancora di più il posizionamento nel lungo termine della Lega.
Certo, il 18% è un gran risultato per un partito territoriale, non fosse che quel partito è oggi completamente de-ideologizzato e completamente personalizzato.
Certo che sì, Anche il Movimento 5 Stelle soffrirà (relativamente) della negoziazione, ma mai quanto la Lega per due semplici motivi:
- Il Movimento 5 Stelle ha condotto la negoziazione decidendo tempi e termini del dibattito;
- Il Movimento 5 Stelle ha un’idea chiara di sovversione del sistema costituito che è ben definita nella mente dell’elettore del movimento, mentre Salvini ha condotto una campagna elettorale sull’onda della cronaca dei giornali: gli sbarchi dei clandestini, i reati degli immigrati, etc…dopo avere nazionalizzato il partito (scelta scellerata vista la tinta unica della mappa del voto al Sud).
Il mantra delle sinergie («i nostri elettori sono simili») non serve di certo alla Lega per raccogliere a man bassa voti là dove per ragioni storiche non li raccoglierà mai (al Sud), ma è senza ombra di dubbio utile al Movimento 5 Stelle per la sua lenta ed inarrestabile azione di sabotaggio nelle regioni del Nord: se non c’è molta differenza tra Lega e Movimento 5 Stelle, perchè votare Lega quando puoi affidare il tuo consenso al partito più votato d’Italia, dargli mandato pieno e metterlo in condizione di creare un governo senza dover elemosinare accordi a destra e a manca?
Se anche Salvini (rappresentante di un partito non di ultra-destra ma di destra forte) è d’accordo sul reddito di cittadinanza (tema di sinistra fortissima), non dovrebbe esistere più alcun dubbio su chi l’elettore scontento del Nord dovrebbe scegliere per la formazione del governo in caso di nuove elezioni (soprattutto ora che l’Indipendenza del Nord non è più una questione leghista all’ordine del giorno).
“Ok…Ma cosa avrebbe dovuto fare Salvini allora?”
Salvini avrebbe dovuto fare:
- Marketing di opposizione alla testa della coalizione di centro-destra;
- Chiamare nuove elezioni, raggiungere il 40% ed affossare il Movimento 5 Stelle.
Putroppo per lui, la superbia centrista di chi vuole tenere i piedi in due scarpe è partita a cavallo e tornerà sicuramente a piedi anche stavolta.
*Robert Lingard