di MONICA RIZZI – Poveri come e peggio di prima. Ma non avevano abolito la povertà? L’Istat ci ricorda che nel 2018 si stima siano oltre 1,8 milioni le famiglie in condizioni di poverta’ assoluta, con un’incidenza pari al 7,0%, per un numero complessivo di 5 milioni di individui (8,4% del totale). Il rapporto sulla Poverta’ – Anno 2018 ci dice anche che le famiglie in condizioni di poverta’ relativa nel 2018 sono poco piu’ di 3 milioni (11,8%), quasi 9 milioni di persone (15,0% del totale).
La punta dell’iceberg della situazione di disagio in cui si trovano molte famiglie emerge dal fatto che piu’ di un cittadino su dieci nel 2018 non ha risorse adeguate per garantirsi una corretta alimentazione. E’ quanto emerge anche da una analisi Coldiretti sulla base dei dati Eurostat diffusa in
occasione del report sulla poverta’ in Italia dell’Istat. L’11% della popolazione non puo’ permettersi un pasto adeguato almeno ogni due giorni con proteine della carne, del pesce o equivalente vegetariano. La situazione in Italia e’ tra le peggiori dell’Unione Europea dove la percentuale media scende all’8% mentre stanno peggio solo Grecia (12%), Lettonia (12%), Ungheria (12%) Romania (16%) e Bulgaria (31%).
Ma non possiamo non essere d’accordo con Federconsumatori, laddove afferma che “I dati sulla povertà assoluta nel 2018 rivelano una situazione decisamente preoccupante. Il fatto che si sia arrestata, dopo tre anni, la crescita del numero e della quota delle famiglie in povertà assoluta rappresenta una ben magra consolazione: la vera notizia positiva sarebbe assistere ad una retrocessione della povertà”.
Cosa serve? Servono misure di carattere strutturale, in grado di far crescere il lavoro stabile, le garanzie, i redditi, la domanda interna e, per
questa via, la produzione industriale. Le misure palliative adottate finora dal Governo non sono affatto sufficienti, c’è bisogno di investimenti per la crescita e lo sviluppo, di misure improntate al rilancio, per aprire un nuovo spiraglio di ripresa e risollevare, così, le condizioni delle famiglie.
Ma nessuno ricorda lo studio recente, ripreso anche su questo quotidiano, dal prof. Carlo Hanau, studioso con dottorato Economie de la santé nel 1981 a Aix-Marseille, col Prof.J.Brunet Jailly e Prof.A.Quadrio Curzio, docente presso molte scuole di specializzazione, fra le quali: igiene (direzione sanitaria) dell’UNIBO e dell’UNIAN, biostatistica dell’UNIMI, La Sapienza, UNIVAQ e UNIPD e chi più ne ha più ne metta, ha affermato una sacrosanta verità economica, sociale ma molto, molto politica. E cioè che non esiste una sola povertà.
Come riportava infatti lindipendenzanuova appena qualche mese fa, il professore afferma che “La povertà non è un fenomeno univoco, ma il reddito di cittadinanza non ne tiene conto. Le soglie che la definiscono cambiano infatti da Nord a Sud, perché diverso è il costo della vita. Ignorate pure le esigenze specifiche delle persone con disabilità”.
In altre parole, “i poveri del Nord sono più poveri perché devono sostenere un costo della vita più elevato, affitti e generi alimentari più cari, spese di riscaldamento maggiori, a cui si aggiungono minori aiuti di familiari e di vicini”.
E’ infatti vero, perché l’Isee viene costruito sulla base dei redditi e dei patrimoni mobiliari denunciati e degli immobili posseduti e censiti al catasto: in alcune regioni del Sud molte abitazioni non sono accatastate e quindi non aumentano l’indicatore, ricordava lo studioso.” Così come i redditi da lavoro nero, che è sicuramente più diffuso al Sud. Il reddito di cittadinanza può essere un’ulteriore spinta per aumentare il lavoro nero, perché sia i lavoratori sommersi che i loro datori sono interessati a nascondere il rapporto di lavoro. Non sono certo credibili le minacce di punizioni esemplari per i “furbetti” proferite da Luigi di Maio e da Matteo Salvini. È difficile pensare che nelle regioni dove non si riesce a fare rispettare l’obbligo del catasto delle case (visibilissime dalle foto satellitari) si riuscirà a verificare e punire il lavoro nero. Il lavoro nero è diffuso anche al Centro-Nord, dove però funzionano meglio il servizio ispettivo e il ricorso alla magistratura del lavoro”.
Sembra un manifesto scritto 25 anni fa dal primo movimento-sindacato di territorio di cui abbiamo tutti buona memoria. Eppure oggi, ad attestare lo stato dell’arte di un Paese duale c’è un accademico con molto senso pratico.
E anche questa volta, l’Istat divide il pollo in due e i polli elettori che si fanno convincere dai proclami, seguono a ruota.