rassegna stampa
“L’attivita’ istituzionale non si fa al ristorante” e nemmeno durante “banchetti di sera”. E poi le norme, “quelle licenziate” dalla Regione Lombardia dagli stessi imputati “sono molte, anzi troppe e sono dettagliate”. Pertanto non si puo’ invocare “la buona fede” e nemmeno pensare che fosse legale “fare cosi’ perche’ si e’ fatto cosi’ per 50 anni”, in quanto quella di chiedere e ottenere i rimborsi per pranzi e cene definiti istituzionali senza presentare “giustificativi” appropriati “e’ una prassi inveterata illecita”. Per giunta le spese di ristorazione “non sono contemplate” da alcuna normativa. E’ quanto ha in sintesi sostenuto il pm Paolo Filippini in alcuni passaggi della sua requisitoria al processo sulla ‘rimborsopoli’ regionale e per il quale ha chiesto la condanna di 56 persone, tra consiglieri, ex consiglieri ed ex assessori, per un totale di 145 anni di carcere, e un’assoluzione, quella di Massimo Ponzoni. Quasi tutti sono accusati di peculato e alcuni anche di truffa. Le pene proposte vanno da 1 anno e 10 mesi per Giorgio Puricelli, ex fisioterapista del Milan, ai 2 anni 2 mesi per Nicole Minetti, l’ex igienista dentale di Silvio Berlusconi e ‘animatrice’ delle serate ad Arcore; dai 2 anni e 10 mesi per Renzo ‘Trota’ Bossi, il figlio del Senatur, fino ai 6 anni per l’ex capogruppo della Lega Stefano Galli, accusato di aver pagato con i soldi pubblici il banchetto di nozze della figlia e di aver fatto ottenere al genero un contratto di consulenza con il Pirellone per 19 mesi per una cifra di oltre 196 mila euro lordi.
Chiesti anche 4 anni di reclusione per Davide Boni, l’ex Presidente del Consiglio regionale che risponde di truffa per le spese ‘indebite’ di trasporto e di servizio autista, per Paolo Valentini Puccitelli, Angelo Giammario e Gianluca Rinaldin, 3 anni per Massimo Guarischi, Antonella Maiolo, Gianmarco Quadrini, Marcello Raimondi, Luciana Ruffinelli, Carlo Saffiotti, Mario Sala, Pierluigi Toscani e Sante Zuffada. La maggior parte delle richieste pero’ si sono aggirate tra 1 anno e 10 mesi e i 2 anni e 10 mesi, con tanto di attenuanti generiche, la confisca solo per chi non ha restituito i soldi spesi indebitamente e le pene accessorie previste dal codice. Il pm, oltre a sottolineare come fosse illegittimo che il capogruppo attribuisse a ciascun consigliere un plafond extra, “un tesoretto personale” per le sue spese, ha spiegato che si e’ trattato di rimborsi “illeciti” poiche’ ciascun consigliere, oltre ad aver percepito 8.500 euro al mese per “le funzioni”, aveva in busta paga un’indennita’ di 6.000 euro tra diaria e spese di missione “omnicomprensive” e un diritto ai rimborsi per trasporti pari a 3.500 euro netti al mese. Insomma, le indennita’ previste dalla legge sarebbero bastate per coprire le spese necessarie al mandato istituzionale mentre i rimborsi per la “ristorazione non sono contemplati da nessuna norma. Sulla base delle norme esistenti, non e’ possibile pensare che fossero spese di rappresentanza e che fosse necessario per il consigliere dover offrire un pranzo ai suoi interlocutori”. Per il rappresentante dell’accusa, quelle che sono state definite le “spese pazze”, dai prodotti ittici e di gastronomia ai toscanelli, all’abbonamento a riviste come Max o Quattroruote, al frigo per l’ufficio fino al dispositivo per individuare l’autovelox su strade e autostrade, sono da considerare una “spia” di una “evidente volonta’ di commettere un illecito”. Volonta’ non di tutti poiche’ “esistono consiglieri che non sono stati nemmeno sfiorati da questa indagine: non hanno speso un euro in piu’ rispetto al budget assegnato e altri hanno speso pochissimo denaro e lo hanno giustificato in modo puntuale”. “L’approccio di questa inchiesta quindi non e’ stato quello “di sparare nel mucchio perche’ non e’ vero che tutti si comportavano alla stesso modo”, ha precisato il pm. Infatti per alcune posizioni la Procura aveva chiesto l’archiviazione e oggi un’assoluzione. (di Francesca Brunati-Ansa)