Ricordiamolo ancora. Il Papa fece costruire le mura contro la jhad. Perché Trump non può alzare barriere contro clandestini e immigrati arabi?

di STEFANIA PIAZZOmuro_prima_cinta-572

C’è sempre un pezzo di storia che sfugge. E quando la memoria storica viene meno, si abbassano le difese, e si diventa vulnerabili e conquistabili dal pensiero più forte.

Ciò che resta delle mura leonine è l’emblema della guerra santa a casa nostra. L’abbiamo tutti dimenticato – tranne gli storici seri e i musulmani – ma nell’846 gli arabi con le loro belle flotte sul Tevere entrarono in Roma e, tranquilli, proseguirono la marcia dentro San Pietro, razziando ogni ben di Dio… La pesca fu fruttuosa, perché l’incoronazione di Carlo Magno, 46 anni prima, aveva fatto adornare la basilica di lastre d’oro, argento, di balaustre dorate. Nelll’847, Leone IV, per evitare un secondo round, fece costruire mura alte 12 metri, con 44 torri a corredo. Insomma, la Jihad non è un mito, una leggenda. E’ “istituzione connaturata al sistema musulmano stesso, è una sua obbligazione religiosa permanente” (Sandro Magister, l’Espresso). Ma non è solo la memoria “lunga” ad averci da tempo abbandonati. Anche quella medio corta, colpa forse della nostra scarsa attitudine alla lettura, è passata inosservata, nonostante sia stato un evento storico, l’incontro che volle papa Ratzinger in Laterano dedicato alla storia tra cristianesimo e islam.

Lo spunto: il quinto centenario dalla nascita di Pio V, il papa della battaglia di Lepanto del 1571.

Il relatore fu monsignor Walter Brandmuller, allora presidente del Pontificio comitato di scienze storiche. Che diceva il reverendo? Che la conversione nella storia dell’islam è stata imposta sempre con le armi, e che “non stupisce che l’uso della violenza occupi un posto centrale nella tradizione islamica. Samir Khalil Samir, ha chiarito che l’uso del termine Jihad indica la guerra in nome di Dio per difendere l’islam, obbligo per i musulmani maschi adulti.

Chi sostiene quindi che l’accezione di jihad come guerra santa costituisce una sorta di deviazione dalla vera tradizione islamica, non dice il vero, e la nostra storia dimostra come purtroppo la violenza abbia caratterizzato l’islamismo fin dalle origini. L’idea delle crociate, nacque come reazione alle misure che il califfo al-Hakim bi-Amr Allah prese contro i cristiani di Egitto e Siria. Nel 1008 abolì la festività delle Palme, e l’anno successivo ordinò di punire i cristiani e di requisire ogni loro bene. Nel 1009 saccheggiò e fece demolire la chiesa al Cairo dedicata a Maria e non impedì la profanazione dei cimiteri cristiani e il sacco di altre chiese in altre città.

Nello stesso anno si ebbe quello che fu sicuramente l’episodio più grave: la distruzione a Gerusalemme della basilica costantiniana della resurrezione, conosciuta come il santo Sepolcro”.

La storia si ripete, le persecuzioni dei cristiani e le distruzioni delle chiese non sono finite.

“Ma la differenza più forte lo dimostra il fatto che molti paesi islamici non hanno accettato la dichiarazione dei diritti dell’uomo dell’Onu del 1948 o l’hanno fatto con la riserva di escludere le norme che contravvenivano alla legge coranica, cioè in pratica a tutte. Dal punto di vista storico bisogna dunque riconoscere che la dichiarazione dei diritti dell’uomo è un frutto culturale cristiano, anche se si tratta di norme universali valide per tutti.

Nella tradizione islamica non esiste il concetto di uguaglianza di tutti gli esseri umani…

…né di conseguenza di quello di dignità di ogni vita umana. La sharia è fondata su una triplice disuguaglianza: tra uomo e donna, tra musulmano e non musulmano, tra libero e schiavo. Ma la più irrevocabile è quella tra uomo e donna. Nella tradizione islamica il marito gode di una autorità pressochè assoluta: è consentita la poligamia, la donna non può avere più di un marito, non può sposare un uomo di altra fede, non ha diritto sulla prole in caso di divorzio, è penalizzata nella divisione ereditaria e la sua testimonianza vale la metà di quella di un uomo”, spiega il monsignore.

“Se dunque l’islam implicava e implica non solo un’adesione religiosa ma tutto un modo di vivere, sancito anche a livello politico, è molto facile comprendere come la vittoria di Lepanto abbia garantito all’occidente la possibilità di sviluppare la sua cultura di rispetto per l’essere umano”.

“Proprio a causa di questa concezione complessiva di religione e autorità politica,….

…il musulmano avrà molte difficoltà ad adattarsi alle leggi civili nei paesi non islamici, ritenedole qualcosa di estraneo alla sua formazione e ai dettami della sua religione. Bisogna forse chiedersi se le comprovate difficoltà di persone provenienti dal mondo islamico a integrarsi nella vita sociale e culturale dell’Occidente non trovino una delle spiegazioni in questa problematica. Dobbiamo poi anche ricordare il diritto naturale di ogni società di difendere la propria identità culturale, religiosa e politica.Mi sembra che Pio V abbia fatto proprio questo”.

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