di STEFANIA PIAZZO – Siamo ad un altro treno che passa, per cambiare. Lo prenderemo? Riusciremo a lasciare il sistema di riscossione centrale dello Stato? Via Renzi, chi arriva? Un altro esattore?
Data l’attualità e la nemesi storica, riproponiamo la lettura del libro di Romano Bracalini, perché è anche nostra responsabilità non perseverare nell’errore….
Che fine fanno i tiranni? La storia racconta di pessimi epiloghi. Chi affama un popolo, e solitamente a questo portano imperi, dittature, democrazie apparenti, annessioni forzate, paga con la stessa moneta con cui ha affamato, ucciso, schiavizzato. La storia brutale di Giuseppe Prina, ministro delle Finanze di Napoleone a Milano, e ucciso dai milanesi esangui e straziati dalle tasse napoleoniche per mano di un funzionario traditore, è stata forse per questo motivo messa a tacere. Oscurata dai libri di storia, dalla vulgata tradizionale fino quasi a far passare per vittima il carnefice. Ma la storia non si svende e prima o poi gli atti, i documenti, le ricostruzioni arrivano puntuali come un killer che non perdona. Come nel caso del giornalista e storico Romano Bracalini, che ha speso tempo ed energie per raccontare come non era stato fatto ancora prima, i fatti che si consumarono nel capoluogo lombardo durante il regno di Napoleone, le sue razzie sul popolo milanese, i suoi sgherri senza scrupolo che imponevano ai cittadini mostruosi prelievi fiscali per pagare le guerre dei francesi, per mantenere la corte e i privilegi dei suoi burocrati nella città.
Sappiamo come andò a finire. Giuseppe Prina, dopo la resa di Napoleone, nascosto nella cappa del camino, venne cavato fuori dal popolo inferocito, denudato e poi scaraventato giù dalla finestra, ucciso a ombrellate in piazza. A tanto era arrivato il livore, la rabbia, la repressione dei cittadini privati dei loro più elementari diritti di libertà. Il tiranno non ha diritto di esistere.
Ma per arrivare a capire quanto fosse maturata la necessità di disfarsi con giustizia popolare dei tiranni, Bracalini ripercorre sin dall’inizio tutta la farsa napoleonica, le compiacenze della borghesia e della nobiltà milanese, sempre serva a comando dei potenti di turno. Dopo Napoleone fu la volta dei Savoia, ma questa è un’altra storia.
“Prina deve morire – Milano 1814, la prima rivolta antitasse in Italia” è il resoconto fedele di come il Nord fosse soggiogato ai satrapi francesi, premessa di una più ampia e lunga sottomissione fiscale. “Fin dagli albori del Regno d’Italia – racconta Bracalini – il fisco infieriva soprattutto sui ceti più poveri… in nome del pareggio di bilancio”. Storie di tutti i giorni, possiamo dire.
La tassazione “è una forma di dominio, una nuova forma di schiavitù moderna”. Precedenti la storia ne offre a decine. Nel 1636 a Blansac in Francia i contadini fecero fuori un chirurgo che sospettavano gabelliere. Edoardo I d’Inghilterra teneva in scacco gli scozzesi con le imposte. La guerra civile americana fu combattuta perché il Nord industriale voleva “imporre il proprio stile di vita al Sud agricolo oberato di tasse…”. “Conquistata Cipro, i turchi imposero esose tasse sugli alberi da frutta…”.
E Milano? Nel 1814 la rivolta antitasse decretò la fine del Regno Italico. Quanto sia stato difficile ammettere la fine di un tiranno e mettere in discussione uno stato che si regge sulle tasse, lo dimostrano, ricorda Bracalini, le paradossali scelte del Comune di Milano che gli dedicò una via in zona Sempione e una lapide al Famedio, il Pantheon dei milanesi illustri. Insomma, un carnefice di lusso.
Scrissero, ricorda Bracalini, Tommaso Grossi, Gerolamo Rovetta, Cesare Cantù, Ugo Foscolo, Carlo Botta… Massimo Fabi e proprio quest’ultimo scrisse della vicenza ma senza fare cenno delle cause. Fu solo condannata la ferocia del popolo. Già allora la ribellione fiscale appariva come una condanna senza appello. Vietato opporsi al tiranno. Nord paga e taci. “Lo Stato non si tocca, liberale o tiranno che sia”. Persino il Corriere della Sera il 28 settembre 1996 a firma di Sebastiano Vassalli, scriveva che “In Napoleone Prina vedeva il liberatore d’Italia sicché possiamo considerarlo il primo martire del Risorgimento… Forse il lungo cammino degli italiani verso l’unità nazionale comincia col linciaggio del Prina”. Ed era il Corriere, 150 anni dopo!
Bracalini commenta così: “Ecco come un residuo di retorica risorgimentale abbia trasformato un ladro di stato e implacabile tassatore in un martire della causa e degno precursore dello Stato italiano corrotto e parassita”.
Già al servizio dei Savoia nel Regno di Sardegna, venne chiamato da Napoleone a gestire le casse con il vicerè Eugenio. Dopo la vittoria sugli austriaci a Lodi, l’ingresso di Napoleone il 15 maggio 1796 non fu omaggiato dal popolo. Incendiata Binasco, saccheggiata Piacenza rubando 10mila quintali di grano, 1200 cavalli, 2000 buoi oltre che opere d’arte, Napoleone arrivò a Milano pretendendo la consegna di tutto il denaro contante presente nel Monte di Pietà. Proclamata la Repubblica Cisaplina, venne piantato l’albero della libertà in tutte le piazze, cambiato il calendario.. Parini arrivò a scrivere dei francesi, “Filistei predatori dell’arca di Dio”.
Porta li descrisse come i “Desgrazzi de Gioannin Bongee”, affamatori del popolo ambrosiamo. E Prina era il riscossore…
Quando nella primavera del 1799 le truppe francesi dovettero battere in ritirata davanti alle avanguardie austro-russe, il popolo si riversò in strada inneggiando agli austriaci. Cadde la prima repubblica Cisalpina ma un anno dopo con la battaglia di Marengo, Napoleone battuti gli austriaci, tornò in sella. E Prina gli andò appresso. Accusato di aver alterato i libri contabili, era l’uomo giusto. Napoleone pretese la corona ferrea per autoincoronarsi in Duomo a Milano, circondandosi di milanesi al suo servizio come Francesco Melzi d’Eril, Guardasigilli e ambiguo ciambellano.
Si viveva come scriveva il Porta: “Libertè, egalitè, fraternitè, fransè in carozza, i milanes a pè”.
Per mantenere gli sfarzi, Prina era dovuto ricorrere “a una contribuzione straordinaria di guerra nel 1806 poi mantenuta come imposta personale con l’estensione delle imposte dirette e la tassa di registro”. Approvò la tassa di bollo sulla carta. La carta bollata! “Tutte le scritture private, tutti i certificati, tutti gli atti e tutti i decreti e sentenze dei processi civili, tutte le scritture delle professioni… infine tutti gli atti su arti e mestieri” erano bollati! Ora sappiamo chi dobbiamo ringraziare. Giuseppe Prina!
In sei anni le imposte erano raddoppiate, le imposte erano passate dal 28 al 48%. Annotava il Guardasigilli: “le somme versate dall’Italia alle diverse armate francesi sono state più che doppie dei loro reali e veri bisogni”. Ma Prina è un eroe di Milano: via al Sempione e lapide al Monumentale. Oltre che, per il Corriere della Sera, eroe del Risorgimento.
Non a caso il debito pubblico era amministrato “dal Monte Napoleone, a cui verrà dedicata una via nel famoso quadrilatero di Milano”. La gente, annotava ancora Porta, rimpiangeva “i cari barbison”, gli austriaci.
Giacomo Leopardi, ripercorrendo questa storia, scrisse: “A forza di voler esser furbi siamo, al pari dei greci, il rifiuto d’Europa dopo esserne stati i maestri… Il popolaccio italiano è il più cinico dei popolacci”. E Foscolo, dopo l’editto del 1804 che prescriveva che i morti fossero sepolti fuori città, scrisse “I sepolcri”.
La protesta monta e una mattina, ai piedi della statua di San Bartolomeo scorticarto, in Duomo, viene trovata la scritta: “Regno d’Italia”.
Napoleone sventra Milano, la sola opera non incompiuta è l’Arena. Di Foro Bonaparte resta solo il nome. Persino l’arco della pace fu interrotto, dopo la sconfitta di Napoleone a Waterloo. Terminato dagli austriaci dopo la resa del vicerè Eugenio, fu chiamato della Pace per ricordare l’accordo di Vienna del 1815.
Nel frattempo, dopo aver requisito tutti i beni della chiesa, aboliti gli ordini, rubati i patrimoni, il numero degli insorgenti cresceva… “In Valtellina venne dato l’assalto alla prefettura… A Vicenza un religioso, don Vincenzo Marini, di 29 anni era stato fucilato per ritorsione dai francesi. Il 20 febbraio 1810 l’eroe tirolese Andreas Hoffer venne fucilato a Mantova”.
Con un balzo storico, il 6 aprile Napoleone abdica a Fontainebleau. E Prina, nominato ministro di Bonaparte il 20 aprile 1802 sarà massacrato il 20 aprile 1814. Il rustico indovino, un almanacco – ricorda Bracalini – il 20 aprile scriveva: “Chi si arricchisce sulle altrui rovine, non dà lieto principio a triste fine”.
Alla notizia della caduta di Napoleone, il governo a Milano si autoconvoca ma il destino è segnato. Il Senato viene devastato dal popolo,
“andiamo dal Melzi”, grida la folla, “No, andiamo a San Fedele dal Prina”. E Prina, impudente, era rimasto a casa. “Il portone cede sotto le martellate dei rivoltosi.. e poco lontano il Prina nascosto nella cappa del camino. A scoprirlo un falegname della Scala. Prina stava per scappare travestito da prete… Con gli ombrelli, con i bastoni, con i pugni, con i piedi percuotono il ministro, lo trascinano in cortile, lo portano in una stalla: sporco, ricoperto di letame, lo mostrano alla folla da una finestra della stalla. E lo lasciano cadere a testa in giù dalla finestra. Nudo come un verme – narra Bracalini – ricade su cento punte d’ombrello fra le urla e le imprecazioni della folla”.
Viene trascinato in piazza della Scala, nel parapiglia riesce a sfuggire per un momento alla folla inferocita, si nasconde dietro ad un tino. Ma dura poco. Scrive lo storico Rovani che quando la gente lo scopre, “subito ebbe fracassata la testa, vuotata un’occhiaia, sfiancate le reni, finché spirò”.
Lo portarono in piazza Cordusio cacciandogli in bocca un pezzo di carta: “Toh, mangia la carta bollata con cui ci hai succhiato il sangue”.
Manzoni scrisse Aprile 1814, ricordando… “terra che l’oro porta costretta a lo straniero è schiava”. Anche a Melzi d’Eril il Comune decise di dedicare una via in zona Sempione. Eroi della borghesia milanese, che ancora oggi resiste e persiste nel tradire la terra che calpesta.