di STEFANIA PIAZZO – Europa, vogliamo andare in Europa. Anzi, vogliamo restare in Europa, argomentano giustamente coloro che intendono contrastare l’urto sovranista. Ma conosciamo lo sviluppo delle regioni d’Europa? Perché qualsiasi dibattito sulla macroegione, sull’autonomia, non può non tenere conto dei numeri.
Anche l’Europa per cominciare, ha i suoi ricchi e i suoi poveri e le distanze si allungano. Di recente linkiesta ha utilizzato i dati più aggiornati (https://www.linkiesta.it/it/article/2019/03/07/leuropa-e-sempre-piu-diseguale-ecco-perche-aumenta-il-divario-tra-regi/41322/) per mostrare quante diverse siano le velocità delle regioni.
“… si può notare come le aree più ricche risultavano nel 2017 ancora più ricche in confronto a questa che nel 2017. La parte Ovest di Londra, che ospita i più facoltosi d’Europa, aveva un PIL 6,26 volte maggiore di quello medio. Era di “solo” 5,37 volte più grande nel 2000. E così anche le regioni seconde, terze, quarte, ecc, erano più distanti dalla media da chi era nelle stesse posizioni all’inizio del millennio. Tra l’altro si nota bene come la provincia di Bolzano, la Lombardia, la provincia di Trento fossero rispettivamente ottava, decima e dodicesima e ora non compaiano tra le prime sedici, dove invece fanno capolino capitali dell’Est come Praga e Bratislava con i propri distretti”.
Ecco qua, questo è il dato che ci interessa di più. Regioni, province autonome che tutto trattengono, non sono più al passo con i tempi. E chi l’autonomia la invoca, e produce Pil per un quarto del paese, è al palo. Prima Praga e Bratislava poi un pezzo del nostro Nord. Siamo fermi anni luce.
“Il distretto di Praga già di gran lunga il più ricco, è cresciuto di più della regione della Moravia-Slesia, già la più povera nel 2000″.
“Lo stesso è accaduto in altri Paesi, sia Est che a Ovest, senza eccezioni. In Germania, dove dal 2000 il PIL dell’Alta Baviera è aumentato del 69,2%, mentre quello della molto più povera Sachsen Anhalt solo del 43,9%”.
Una domanda al ministro Salvini, alla Lega di Zaia, e del ministro Stefani: di quanto è cresciuto il Pil della Lombardia, del Veneto o del Nord nel suo insieme?
Certo, anche in altre regioni d’Europa, ci sono situazioni diverse, c’è chi cresce e chi no. In Italia, ad esempio, dove si notano di più le differenze?
“E naturalmente anche in Italia dopo la crisi le strade di Lombardia e Campania sono divenute divergenti e sembrano essere destinate a esserlo a lungo”. Non ce ne eravamo ancora accorti.
“Quella che doveva essere la sfida della convergenza europea, l’avvicinamento tra le aree ricche e quelle povere, sembra essere fallita perlomeno a livello regionale. La mezza vittoria della crescita sostenuta dell’Est appare più come un effetto della globalizzazione mondiale che il risultato di uno sforzo voluto, di un progetto condiviso. Ed è la stessa globalizzazione che fatalmente provoca lo sviluppo delle capitali, delle grandi città, delle regioni già competitive, che attraggono in modo assolutamente ineguale gli investimenti dall’estero che invece trascurano completamente le zone rurali più periferiche”.
Ancora più interessante questo passo: “Una multinazionale dei servizi avanzati non ha alcuna ragione per impiantarsi a Enna, a Caceres in Estremadura, a Iasi in Romania, nelle foreste del Brandeburgo. Sceglierà Milano, Madrid o Barcellona, Praga o Bucarest. La transizione dall’industria e l’agricoltura ai servizi rende inutile l’esigenza di ampi spazi”.
La società ha avuto una crescita più veloce rispetto alla programmazione pubblica, ma nulla è stato programmato dall’Europa e dagli Stati. “Non c’è stato per esempio un reale incentivo a modificare uno dei principali driver di sviluppo, l’istruzione. La concentrazione di laureati tra i trentenni rappresenta lo stesso divario, in alcuni casi (Germania e Italia) persino in aumento, già riscontrabile nel reddito”.
Già, l’istruzione, la scuola, queste sconosciute per i politici. Intanto crescono i divari, “… E sono questi solchi che creano, nonostante la crescita del PIL, il terreno per l’insoddisfazione, l’odio per le elite, il trionfo del populismo, a tutte le latitudini”.
Insomma, l’inadeguatezza della classe politica. E tra i più inadeguati, vincono i più furbi nel comunicare.