di ENZO TRENTIN – Iniziamo da un brano dell’intervento – pubblicato anche sulla rivista «Miglioverde» – del Prof. Paolo L. Bernardini [https://it.wikipedia.org/wiki/Paolo_Bernardini_(storico) ] durante il convegno di “Liberamente”, “think tank sull’indipendentismo veneto”, tenutosi a Ospedaletto Euganeo (PD), il 6 ottobre 2018, dove tra l’altro affermava: «Vorrei solo ribadire, per prima cosa, la mia assoluta fede nella bontà dell’indipendenza del Veneto. E vorrei mettere a punto solo alcuni concetti, chiarire alcune posizioni, che immagino saranno abbondantemente discussi oggi. l’indipendenza del Veneto deve essere vista come meta finale di un processo che potrebbe svolgersi in molti modi, anche attraverso la conquista di porzioni sempre più nette di autonomia. Ma occorre sempre distinguere, concettualmente, tra autonomia e indipendenza: non necessariamente la prima porta alla seconda, ma soprattutto, non necessariamente quelli che si battono per la prima, ovvero l’autonomia, credono veramente nell’indipendenza. Molto spesso, e non solo per quel che riguarda il Veneto, la lotta per l’autonomia è subdola, non è al servizio del Veneto ma dello Stato centrale.»
Partiamo dunque da qui per l’ennesima speculazione intellettuale, assumendo – ancora una volta – il ruolo degli agitatori di idee. Come premessa però, ecco i principali rivendicazionismi che rischiano di polverizzare gli Stati europei attraverso forti movimenti secessionisti o hanno partiti politici che spingono per una maggiore autonomia:
Italia – non ci sono solo gli indipendentisti veneti; ci sono anche i lombardi, i sardi, i siciliani, i toscani e gli alto atesini che sono stanchi di sopportare la convivenza con la pseudo democrazia italiana.
Belgio – la questione dei fiamminghi e dei valloni è troppo nota per doverla qui ricordare. In Belgio vivono due popoli, distinti e distanti, che parlano lingue diverse e sono di etnia diversa. Nei decenni scorsi si arrivò quasi alla guerra civile, ma oggi si è trovato un modo di vivere comune. La situazione, per intenderci, è come quella della Cecoslovacchia, e non è detto che si finisca nello stesso modo.
Francia – anche i nostri cugini d’Oltralpe hanno da anni i loro problemi con gli indipendentisti. Corsica, Bretagna, Occitania, tutti vorrebbero andarsene. Lo stesso capita nei Territori d’Oltremare.
In Corsica, alle elezioni regionali nel 2015 ha vinto il partito indipendentista nato dalla fusione di “Femu a Corsica” autonomista, e di “Corsica libera” indipendentista con il 35,5% dei voti contro la sinistra che ha ottenuto il 28,5%, la destra con il 27% e l’estrema destra di Marine Le Pen sotto il 10%. Ma difficilmente gli indipendentisti Corsi da soli vincerebbero se Parigi concedesse oggi un referendum. La maggior parte dei Corsi vuol restare francese per continuare a percepire le pensioni statali, e godere degli impieghi nell’amministrazione francese dove la loro massiccia presenza assomiglia a quella dei meridionali nell’amministrazione pubblica italiana. La Corsica conta circa 300.000 abitanti. Si calcola che almeno il 60% sia a favore della Francia. Tuttavia tra i giovani prevale il sentimento indipendentista.
Germania – c’è chi aspira all’indipendentismo, pur avendo tutti religione e lingua comune. Accade in Baviera, dove esistono alcuni gruppi favorevoli alla secessione da Berlino, come il Beyernpartei.
Paesi dell’Est – oltre ai Balcani, l’indipendenza è chiesta dai russofoni in Romania, dagli abitanti della Transnistria nei confronti della Moldavia, da minoranze ucraine e russe. La questione dei curdi, oggi di strettissima attualità, andrebbe trattata a parte.
Regno Unito – Scozia, Cornovaglia e Galles vorrebbero l’indipendenza, per non parlare dei possedimenti oltremare. Com’è noto la Scozia ha già avuto il suo referendum legale. Lo ha perso per poco. Ora si comincia a parlare di un nuovo referendum per l’autodeterminazione, anche se non si è arrivati a predirne la data.
Spagna – come è noto, non c’è solo la Catalogna, ci sono anche i Baschi. Ci sono poi le enclaves di Ceuta e Melilla, che aspirano all’indipendenza o al ricongiungimento col Marocco, cosa che Rabat chiede da anni. Ci sono le Canarie, e movimenti autonomisti sono esistenti anche in Galizia, Aragona e Andalusia, malgrado le ampie autonomie che lo Stato spagnolo concede.
Svizzera – è forse la nazione che ha risolto meglio il problema: lingue diverse, ordinamenti diversi, leggi diverse per ogni Cantone, e tutti vivono in armonia e prosperità. Anche grazie ad un federalismo autentico e non di facciata. Nel 1979 il Giura diventò il ventiseiesimo Cantone della Confederazione Svizzera.
Fatta questa presentazione, è necessario prendere atto che l’indipendentismo veneto è considerato il più effervescente della penisola, e la galassia di movimenti e partiti di quest’area possono semplicisticamente essere così suddivisi:
Al primo gruppo – appartengono coloro che si dicono a favore dell’autodeterminazione ma, al momento, operano per l’autonomia della Regione. Dicono di voler perseguire la via istituzionale, e di rifarsi in particolar modo all’esperienza catalana. Tuttavia una corretta lettura degli ultimi decenni (vale a dire dalle elezioni regionali del 1985 che videro i primi due autonomisti-federalisti eletti in Regione Veneto) suggerisce che non c’è stata alcuna chance.
Al contrario, sin dall’inizio la partitocrazia li ha “imbrigliati” e “blanditi”. Il primo eletto è poi partito dalla Regione Veneto per arrampicarsi sino a diventare Sottosegretario agli esteri di un governo italiano. Emblematico è il caso del secondo autonomista, federalista, indipendentista, che stravaccato per ben tre legislature in Regione Veneto (esibendosi nel frattempo nella specialità di metter su e buttar giù partitini, per poi ritornare alla “casa madre” LV-LN), di risultati determinanti per questi tre obbiettivi non ne ha conseguito alcuno. Eppure “duttile”, “agile” e “disinibito” ha fatto l’assessore per la Giunta di Giuseppe Pupillo (ex comunista) e quella di Aldo Bottin (ex democristiano), svolgendo, appunto, il ruolo di foglia di fico per la partitocrazia. In tal modo “addomesticando” il voto dei suoi elettori. Addirittura una terza persona appartenente a quest’area, è stata eletta al Parlamento Europeo; ma anche lì risultati non se ne sono visti.
Centrodestra e centrosinistra li hanno cooptati nelle loro politiche facendo promesse poi non mantenute, e fagocitandoli nelle loro strategie al fine di far credere all’elettorato che anche i partiti tradizionali erano favorevoli a riforme significative. Dell’attuale esponente di questo gruppo di “indipendentisti” abbiamo già trattato qui: [https://www.vicenzareport.it/2018/08/politica-indipendentismo-veneto/ ]. Per tutti questi “rappresentanti” sembrerebbe valere l’aforisma di Goran Mrakic (uno scrittore serbo di Romania) «Ha tutte le caratteristiche di un politico moderno. È passato attraverso tutti i partiti.»
Insomma, ad oggi, la via istituzionale non ha prodotto nulla nemmeno in Catalogna; fatta eccezione per le manganellate della Guardia Civil. Di più, sottolinea l’esule Carles Puigdemont: «sul federalismo, un punto questo annunciato mille volte ma che non è mai stato realizzato. Se 40 anni fa il governo spagnolo ci avesse offerto una sorta di federalismo, come quello tedesco, ora non chiederemmo l’indipendenza». [https://it.euronews.com/2018/10/16/puigdemont-penso-a-un-progetto-federalista-per-la-catalogna ] Men che meno (vedi sopra) in Corsica.
Lo abbiamo già scritto: non si tratta di persone particolarmente malvagie. La loro cultura politica è quella partitocratica, e la partitocrazia ha disilluso la stragrande maggioranza degli elettori che oramai disertano le urne. Le minuscole riforme che si affacciano ora all’orizzonte creano disagio, malumore, inappagamento, e arrivano dopo oltre 33 anni. Il sistema di voler cambiare il governo con il consenso del governo risulta abbastanza fantapolitico. Qualcuno – a proposito di costoro [https://www.facebook.com/sebastiano.rivetti/videos/10215572949187048 ] – benevolmente afferma che bisogna prendere atto del fatto che anche quelli che fanno la danza della pioggia credono nella propria magia.
Al secondo gruppo – vi sono (ci sia consentita una semplificazione) i veneti-venezianisti. La loro magia vuole la Serenissima com’era e dov’era, ma mancano i Patrizi-mercanti e i loro Schei. Il tessuto produttivo veneto è diminuito di oltre il 25%, e c’è una crescita economica piatta. I suicidi di imprenditori sono centinaia. Dal 2012, sono in totale 937 in Italia (con prevalenza in Veneto) i casi di suicidi per motivazioni economiche registrati dall’Osservatorio “suicidi per motivazioni economiche” [http://linklab.unilink.it/suicidi-motivazioni-economiche-dati-1-semestre-2018/ ] della Link Campus University; mentre sale a 661 il numero dei tentati suicidi. Nei primi sei mesi del 2018 l’Osservatorio ha proseguito il proprio monitoraggio semestrale, da cui emerge un numero di vittime pari a 59, in aumento rispetto alle 47 registrate nella prima metà dello scorso anno, mentre sono 53 i tentati suicidi. I posti di lavoro buoni della classe media sono andati persi, i redditi reali delle famiglie sono stagnanti, le pensioni sono a rischio, malgrado i bla-bla-bla del governo le tasse non calano, i giovani laureati o più preparati vanno all’estero per lavorare.
Al terzo gruppo – ci sono i memori delle ampie facoltà di autogoverno che vigevano nei liberi Comuni che nacquero proprio nel centro-nord di questa penisola intorno all’anno 1.000. Perorano una conduzione della cosa pubblica per mezzo del “controllo e bilanciamento reciproco”, con strumenti di reale democrazia diretta.
Non per nulla nella cosiddetta Civiltà Comunale s’era formata una forte “borghesia” che, anche sotto le successive Signorie, i banchieri, i mercanti e gli “investitori”, aveva edificato monumenti e grandi opere nelle città venete che risalgono quasi tutte ad epoca pre-veneziana.
Costoro non scordano poi, che malgrado l’oligarchia veneziana fosse ingessata, nei Domini di Terraferma (detti anche Stato da Tera) ci furono parecchie “autonomie” ed è anche per questo che vennero mantenuti i telai nelle case cittadine, i diritti sui boschi, il pascolo comunitario, i campi comuni, e molto altro ancora. Con il libro di Alan Sandonà: “Leges et statuta communis Cartrani – Gli Statuti di Caltrano del 1543” [https://www.libreriauniversitaria.it/leges-et-statuta-communis-cartrani/libro/9788884497017 ], il Comune dell’alto-vicentino, con relativo patrimonio montano (che si era costituito già verso il 1.200, come si rileva da altre pubblicazioni) inquadra storicamente e giuridicamente quella realtà che quasi cinque secoli fa scaturiva da quelli Statuti approvati dall’apposita commissione operante a Vicenza per conto della “Dominante”, dove – tra l’altro – erano i circa 800 abitanti a fissare l’aggravio fiscale da riconoscere a Venezia, e non il contrario come oggi avviene con l’Italia.
I sedicenti autonomisti-indipendentisti che siedono attualmente in Regione Veneto o aspirano a candidarsi alle elezioni regionali per accomodarsi su quelle “careghe”, da molti elettori sono considerati degli Zio Tom che non fanno i ribelli e non capeggiano rivolte. Troppi sono i privilegi che concede loro lo Stato italiano. Analogamente sono considerati dei “Tartuffe” coloro che si assoceranno a loro per concorrere alle regionali del 2020. Come hanno scritto Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella [https://www.ibs.it/casta-cosi-politici-italiani-sono-libro-gian-antonio-stella-sergio-rizzo/e/9788817017145 ]: «La Casta politica, una volta che sei dentro, ti permette quasi sempre di campare tutta la vita. Un po’ in Parlamento, un po’ nei consigli di amministrazione, un po’ ai vertici delle municipalizzate, un po’ nelle segreterie. Basta un po’ di elasticità.» in fondo aveva ragione Henry Louis Mencken: «Ci sono degli uomini politici, che sarebbe bene chiamare politicanti, i quali, se avessero come elettori dei cannibali, prometterebbero loro missionari per cena.»
Insomma, gli Zio Tom e collaborazionisti vari sembrano aver fatto il loro tempo. Tra un preteso referendum digitale per l’indipendenza del Veneto (2014), avvallato da Osservatori Internazionali [http://blog.plebiscito.eu/news/indipendenza-del-veneto-il-coi-i-voti-autentici-sono-23-milioni-referendum-libero-valido-democratico-e-legittimo/ ], e un referendum regionale per l’autonomia (2017) [https://it.wikipedia.org/wiki/Referendum_consultivo_del_2017_in_Veneto ] entrambi vinti con milioni di voti, ma entrambi con scarsa efficacia; rimangono milioni di veneti delusi e insoddisfatti dello satus quo. Parrebbe dunque giunto il momento per gli autentici indipendentisti di passare alla redazione di un coerente progetto politico-istituzionale innovativo, convincente, condiviso, al fine di avere istituzioni locali e scambi globali, per controllare meglio i passaggi di ricchezza.
lì, domenica 21 ottobre 2018