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Reclutamento forze dell’ordine. Com’era lo slogan? Prima chi?

guardiafinanza

di RICCARDO POZZI – A volte la verità riesce ad affiorare anche nei media che ci ritroviamo. Scappa, sfugge nonostante l’inettitudine e l’ignavia professionale che pervade i nostri proni organi di stampa.
Sull’Espresso del 2007 apparve una incredibile intervista che definire interessante è quasi comico, intervista del sostituto procuratore di Padova Sergio Dini che sintetizzo con poche e significative frasi.
“I dati sono allarmanti, la difesa nella nazione è, di fatto, affidata ad alcune fasce della popolazione. L’arruolamento massiccio nel sud , se da un lato permette ai ragazzi un riscatto sociale e un lavoro, comporta rischi dovuti alla capillare presenza della criminalità organizzata nei territori che lo Stato Maggiore considera zone franche per il reclutamento. Qualche tempo fa -prosegue Dini- il mio autista è stato arrestato, si è scoperto che in Puglia rapinava (eufemismo di sfruttamento ndr) prostitute. Tra i volontari, secondo una mia stima, uno su dieci ha avuto a che fare con la giustizia…”.


Oggi anche Bruno Vespa nel suo “Rivoluzione”, in un capitolo di descrizione delle oscure dinamiche che portarono all’unificazione del Regno d’Italia, ricorda lo stesso vizio d’origine del nostro complesso sistema delle forze dell’ordine.
Il Ministero dell’Interno, che per la seconda volta nella storia della Repubblica è a guida leghista, avrebbe il dovere politico di distinguersi per una operazione indispensabile di risanamento, quasi una disinfezione degli organigrammi militari, affrontando una situazione che, nonostante la sordina mediatica e del taboo sociale collegato, si configura, quella sì, come una vera emergenza democratica del paese.


La Guardia di Finanza arruola con particolare fedeltà in Sicilia, la regione a più alto tasso di incidenza del sommerso sull’economia reale. La regione con il maggior numero di incendi per superficie è la Calabria che possiede anche il record di forestali assunti in pianta stabile (più del Canada). Due su tre nella Marina Militare sono campani. Ma si può proseguire con Carabinieri, Polizia di Stato, Polizia penitenziaria, ecc..
In una nazione seria, dove la democrazia si compie con il lavoro quotidiano di chi è chiamato a custodirla, non verrebbe tollerato un simile sbilanciamento sociale, anche solo per una questione di corretta rappresentanza del paese reale rispetto alle proprie istituzioni militari. Invece tutto sta fermo e il grido di allarme del procuratore Dini di 14 anni fa è rimasto, rimane e presumibilmente rimarrà lettera morta.
Com’era lo slogan? Prima chi?

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