Quando Rumi scriveva su la Padania: “A Roma non capiscono che Milano non è come Enna”

rumi

di STEFANIA PIAZZO – Prima era Roma a non capire che Milano non è come le altre città d’Italia. Per questo esplose la Lega. Ora, accade l’inverso. E’ la Lega salviniana a non capire che Milano non è come Enna. A distanza di 20 anni dal referendum che la Lega fece sull’indipendenza della Padania guardate quante cose sono cambiate…

Ecco perché, ripescando dal mio perfido archivio giornalistico, propongo ai lettori dellindipendenzanuova.com un testo di attualità sconcertante. Pubblichiamo infatti una intervista-documento apparsa su la Padania del 27 maggio 1997 dopo il referendum sull’indipendenza della Padania promosso dalla Lega Nord.
È un colloquio con l’indimenticato storico Giorgio Rumi, scomparso nella primavera del 2006. La lettura del testo, nonostante il trascorrere degli anni, rievoca il clima di pregiudizio e di ostilità politica verso il cambiamento. Sembra quasi che, da allora, poco o nulla sia cambiato: la resistenza alle riforme e il glissare sulla questione settentrionale. C’è di che riflettere. Conoscere la storia aiuta a prevedere il futuro, se hai umiltà politica. Ma se lo storico Rumi, che è scienziato che studia gli eventi e le loro ragioni, denunciava che Roma non comprendeva la differenza tra il Nord e altri pezzi del paese, per rendere tutto uguale, oggi assistiamo alla richiesta di omologazione del Nord da parte di  esponenti politici che non vogliono più rappresentare prioritariamente la questione settentrionale come ragione sociale del proprio agire e della propria rappresentanza. Aveva ragione il prof. Rumi, o vale di più il pensiero di chi vira verso il nazionalismo, il lepenismo, il sovranismo…? 

Rileggiamo Rumi, è l’unica risposta alla Lega di Salvini di oggi, segretario a questo punto più romano dei romani. Che Bossi annunci di lasciare o meno non cambia. La “sua” Lega non c’è più. Tutti i partiti, come gli stati, non sono eterni. Altro nascerà.

«Non importa se nei gazebo leghisti si è votato presentando come documento di identità la tessera ferroviaria o il bancomat. Guai a sgonfiare il fatto mediatico. Guai a prendere sottogamba quello che è successo domenica nel Nord. Anche se fossero solo cinquecentomila gli italiani che si sono recati alle urne, beh, credo che sia il segno di un malessere assai profondo di cui non c’è da ridere». Domenica Giorgio Rumi non ha votato. Lo storico e politologo milanese ha preferito girare in lungo e in largo per la Padania a tastare con mano la questione settentrionale.

Professor Rumi, è d’accordo con la valutazione del presidente del Consiglio secondo cui “questo voto non conta”?
«Tendo a prendere sul serio quello che è avvenuto in Padania. La Lega scaturisce da un problema reale. Non è facilmente liquidabile. Non capisco quelli che ridono delle sparate secessioniste di Umberto Bossi. La questione settentrionale è infatti cosa seria. Dieci anni fa, sull’Osservatore Romano, usai per la prima volta quella espressione. Sono passati dieci anni e continua ad esistere un problema che è cosa reale. A Roma non capiscono che Milano non è come Enna, che la Lombardia è cosa diversa dalla Sicilia. Chi ciancia di eguaglianza tra queste realtà sbaglia: il Nord non è come il Sud. L’eguaglianza è fittizia».

Vuol dire che il Senatur ha ragione?

«Voglio dire che non si può rispondere con retorica come fa la classe politica italiana o minacciando l’uso dell’esercito dopo che lo si è vilipeso per decenni. Sono disgustato, ad esempio, da come viene sfruttato il tricolore che adesso sbandierano nel centro di Milano contro Bossi. Ma come, ieri chi lo sbandierava era un fascista e adesso diventa il simbolo da contrapporre alla Padania?».

Ma la bandiera sventola contro laPadania che non c’è, quella che a furia di scriverne si è materializzata…
«Questo è un errore: la Padania esiste di fatto. La Padania, che è un’espressione impropria, è adesso divenuta un sentimento di bandiera. Questo è il dramma! La Padania esiste perché un pezzo d’Italia che è il Nord non ha una mentalità statalista, centralista ed assistenzialista. È come se un adolescente non volesse più stare sotto la tutela paterna. È il Paese che non ne può più di milioni di carte da firmare, di una burocra-ia che sommerge i cittadini. Servono le riforme, ma Roma ha paura di farle. Nel cuore della Capitale temono che la locomotiva si sgancia dal resto del treno e se ne va».

Professore, usando la sua immagine, la locomotiva però può trascinare il resto del treno…
«È una tesi. Il vantaggio economico di sganciare la locomotiva dai vagoni è tutto da dimostrare, ma il dato certo è che le riforme servono e subito».

Non crede alla Bicamerale? Non giudica positivamente lo sforzo di D’Onofrio?
«Il mio amico Francesco (D’Onofrio, ndr) si dà da fare ma a Roma ridono. La Bicamerale potrebbe anche finire in un gigantesco “inciucione”. Signori, non è in corso una partita di calcio!».

Mi sembra che sia proprio deluso?
«Sì, sono deluso da questa classe politica e dai suoi tempi».

…amareggiato da Prodi? Farebbe meglio Silvio Berlusconi?
«Credo che si potrebbe provare con Massimo D’Alema. Sì, così il capo del maggior partito si assumerebbe direttamente le sue responsabilità. Comunque, Bossi non mi fa proprio ridere».

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