Quando la sinistra era per l’autodeterminazione. Dolores Ibarruri, l’eroina della guerra civile spagnola!

doloresQuanto segue è un passaggio del discorso dell’eroina della guerra civile spagnola, Dolores Ibarruri, tenuto di fronte al comitato centrale del partito comunista spagnolo nel settembre del 1970. Un documento molto interessante che ci è stato segnalato dall’amico storico e ricer-catore Piero Rizzi Bianchi e che a nostra volta “giriamo” a chi, ancora oggi, si definisce comunista o di sinistra. Con maggiore onestà intellet-tuale e senza bisogno di guardare oltre casa propria, anche loro potrebbero rendersi conto di come il trasferimento dei poteri dallo Stato alle regioni sia un cambiamento auspicato. Anche a sinistra…

 

di Dolores Ibarruri – I comunisti si pronunciano per il riconoscimento, senza alcuna limitazio-ne e con tutte le conseguenze, del diritto delle nazionalità all’autode-terminazione. Nessuno che conosca, anche solo parzialmente, la teoria
marxista leninista può stupirsi del fatto che sia il partito comunista spagnolo il massimo difensore del diritto delle nazionalità all’autodeterminazione. Ciò va inteso non come una posizione politica propagandistica o congiunturale, ma
bensì come la ferma decisione di lottare affinché possano diventare realtà le aspirazioni dei popoli che compongono lo Stato spagnolo.
Questo non è casuale. È la conti-nuazione e la conseguenza, non solo della politica dell’internazio-nale comunista e dell’internaziona-le di Lenin rispetto alla questione delle nazionalità, ma anche della I° Internazionale e dell’Internazionale
di Marx ed Engles.

Opponendosi alle teorie anarchiche del prudhonismo che rifiutano la lotta per i diritti nazionali in nome di una pretesa “rivoluzione sociale”, Marx metteva in primo piano il prin-cipio internazionalista delle nazioni dichiarando che: «Non può essere davvero libero un popolo che oppri-me altri popoli». Conseguente a questa visione e dal punto di vista degli interessi del movi-mento rivoluzionario dei lavoratori te-deschi, Marx voleva che la democrazia, dopo la vittoria in Germania, si ponesse a capo della liberazione dei popoli oppressi dai tedeschi. Allo stesso modo, nel 1867 sostenne la secessione dell’Ir-landa dall’Inghilterra, sostenendo che comunque «dopo la separazione segue la federazione».
Riaffermando le opinioni di Marx rispet-to al diritto delle nazionalità a sviluppare la loro personalità indipendente, la difesa di questo diritto costituì una delle tesi marxiste approvate dal quarto congresso della internazionale socialista celebrata a
Londra nel 1896, durante la quale si disse: «Il congresso si dichiara favorevole al-l’autonomia di tutte le nazionalità. Espri-me il suo sostegno ai lavoratori di tutti i paesi che attualmente soffrono sotto il giogo del dispotismo militare, nazionali-sta o di qualsiasi altro dispotismo».
Di questa tesi i partiti socialisti europei, con la sola eccezione dei marxisti russi capeggiati da Lenin, accettarono unicamente il richiamo all’autonomia culturale delle nazionalità. Solo dopo la rivoluzione socialista dell’ottobre 1917, al costituirsi – nel 1919 – della internazionale comuni-sta, questa tesi ripresa per affronta-re la questione delle nazionalità nell’Unione sovietica e fu allegata ai programmi dei partiti comunisti nei cui paesi esisteva la questione delle nazionalità. Fra questi il no-stro, che l’ha mutuata nel suo pro-gramma in forma permanente es-sendo una premessa rivoluziona-ria di primaria importanza nella lotta per la rivoluzione democra-tica e per il socialismo. Il riconoscimento del diritto di
autodeterminazione dei popoli e delle nazioni è la pietra milia-re della teoria marxista lenini-sta per quanto riguarda la que-stione nazionale. A chi sostiene l’inesistenza di tale questione in Spagna, ci tengo a ricordare alcune opinioni espresse da uomini che nulla ha a che fare con i comunisti riguardo la formazione del popolo spagnolo. In un ammirevole studio del conosciuto storico catalano Bosch y Guimpera pubblicato nel 1940, dove ci si riferisce alla reale situazione del paese e alla non integrazione dei popoli peninsulari, si dice che: «I popoli, che cercano di allontanarsi dal processo seco-lare delle nazioni medievali che si è cri-stallizzato dando alla Spagna un caratte-re di complesso poli-nazionale, costitui-scono un fascio di nazioni che non hanno ancora trovato un equilibrio e una orga-nizzazione statuale stabilita».

L’unità politica, amministrativa e culturale imposta da Madrid, ieri dalla monar-chia e dalle oligarchie latifondiste e ari-stocratiche e oggi dalle oligarchie finan-ziarie e monopoliste appoggiate dalla dittatura franchista, era ed è una unità
precaria e in continua discussione. Se «la Spagna – come dice Bosch y Guim-pera – non è la sintesi di tutti i suoi popoli e non è la somma degli stessi; se non si riesce a creare una struttura nella quale nessuno si senta sottomesso o sminuito
dovendo marciare a rimorchio di gruppi o popoli egemonici, nulla nessuno potrà trovare strano se qualcuno prima di definirsi spagnolo chiederà di che Spagna si tratta. Questo perché la Spagna non è, né può essere una religione con dogmi im-posti da chi se ne arroga la rappresentan-za e ti scomunica se non ti sottometti… La Spagna è di tutti, non è…».
La soluzione democratica del problema nazionale dovrà completarsi con la de-centralizzazione democratica dello Stato basata su un’ampia regionalizzazione indispensabile per affrontare il grave pro-blema delle disuguaglianze regionali che
costituisce uno dei seri ostacoli sulla strada di un autentico sviluppo della Spagna. Si creeranno così le migliori condizioni affinché la classe operaia e le forze democratiche siano il fattore determinante dello sviluppo politico ed economico di tutti
i popoli e le regioni della Spagna.
Traduzione a cura di Paolo Guido Bassi – da Il Federalismo, direttore responsabile Stefania Piazzo

 

Dolores Ibarrurinasce il 9 dicembre 1895 a Gallarta, nella provincia basca di Vizcaya, una piccola città mineraria. Era l’ottava di undici figli: suo padre Antonio, detto l’Artigliere, lavorava in miniera. Sua madre aveva lavorato in miniera sino al matrimonio. Il nonno ma-terno era morto in miniera, schiacciato da un blocco di minerale. I suoi fratelli erano minatori. A 15 anni Dolores, non avendo mezzi la famiglia, deve interrompere gli studi. A 20 anni diventa moglie di un minatore, Julian Ruiz. Il marito entra e esce di prigione per ragioni politiche, per cui lei e i figli spesso vivono di carità. Nasce e muore Ester, la primogenita, sopravvive l’unico maschio Rubén, nascono tre gemelle e sopravvive solo Amaya, nasce e muore un’altra bambina: sei figli di cui quattro morti per stenti o malattie.
Comincia a leggere alcuni testi di Marx ed Engels, rendendosi conto che la vita non è “un pantano nel quale gli uomini sprofondano senza remissione, ma – come lei stessa dirà – un campo di battaglia nel quale ogni giorno
l’immenso esercito del lavoro guadagna posizioni”. Quando nel 1920 si forma in Spagna il partito comuni-sta, lei vi aderisce immediatamente. E nello stesso anno viene eletta membro del primo comitato provinciale del partito comunista basco.
Inizia la sua carriera politica firmando con lo pseudoni-mo “Pasionaria” (il fiore della passione) tutti gli articoli su El minero Vizcaino (il quotidiano dei minatori) e poi, nel 1931, trasferendosi a Madrid, dopo essersi separata dal marito, sull’organo ufficiale del partito, Mundo Obrero di Madrid.
E’ una donna bella, alta e robusta, con un’espressione decisa e una grande oratoria, è sempre vestita di nero, con l’ampia e lunga gonna delle donne del suo paese, abbigliamento che è il suo distintivo.
Nel settembre 1931 viene arrestata per la prima volta a Madrid, messa in carcere insieme alle delinquenti comu-ni, con le quali dà il via allo sciopero della fame, al fine di ottenere la libertà dei detenuti politici. Nel marzo del 1932 organizza il IV congresso del partito a Siviglia, il primo tenuto ufficialmente in Spagna, dopo anni di clandestinità.
Verso la fine del 1934, in piena repressione antioperaia, va nelle Asturie con due repubblicane, per prendere più di un centinaio di bambini, figli di operai in sciopero, che muoiono letteralmente di fame e portarli a Madrid in
famiglie disposte ad accoglierli.

Nel 1935 a Mosca, dove Dolores arriva passando la frontiera spagnola a piedi, per sfuggire all’arresto, viene eletta membro del comitato esecutivo del Comintern ed è tra quelli che approvano la costituzione del Fronte
Popolare tra socialisti e comunisti, che vincerà le elezioni nel febbraio 1936. Dal 1935 diventa il più importante dirigente del partito comunista dopo José Diaz.
Dopo che il Fronte popolare è giunto al potere, fa liberare i prigionieri politici di sinistra e convince i minatori delle Asturie a sospendere uno sciopero. Il 16 giugno 1936 denuncia apertamente in parlamento la preparazione di un golpe di
destra, non creduta dal primo ministro Quiroga.
La sera stessa del colpo di stato annuncia alla radio un grido che passerà alla storia: “Meglio morire in piedi che vivere in ginocchio! No pasa-ran!”.
Grazie alle sue capacità per-suasive riesce a far accorrere dai paesi nemici della Spagna libera, o indifferenti alla sua libertà, uomini famosi e ignoti che formeranno le “Brigate internazionali”, pron-te a combattere a fianco del Fronte popolare.
Lascerà la Spagna nel 1939, per ritirarsi esule in Francia e da qui parte per la Russia di Stalin, dove le purghe colpiranno persino i reduci di Spagna.

Nel 1942, alla morte di Diaz, viene eletta segretaria del partito comunista spagnolo in esilio e lo resterà fino al 1960, quando cede il posto a Santiago Carrillo. Nel 1945 è vicepresidente del comitato esecutivo della federazione
internazionale delle donne democratiche. Agli inizi degli anni ’60 le viene concessa la cittadinanza sovietica. Nel 1964 riceve il premio Lenin per la pace. L’anno dopo viene insignita con l’ordine di Lenin.
Diventa presidente del partito comunista spagnolo in esilio nel 1960 sino alla morte. Riceve una laurea ad honorem dall’Università di Mosca. Tornata in Spagna, dopo la morte di Franco e quindi dopo 38 anni di esilio, viene eletta deputata nel 1977. Morirà di polmonite il 12 novembre 1989.

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