di ROMANO BRACALINI – Carlo Cattaneo diceva che la differenza di temperamenti, usi e costumi tra un lombardo e un napoletano, tra un friulano e un calabrese, riassumeva le differenze sostanziali e inconciliabili tra il Nord e il Sud; e Giustino Fortunato, liberale meridionale, che non le mandava a dire, riconduceva da par suo la questione nazionale a un grado di differenza di cultura e di civiltà. A oltre un secolo e mezzo di distanza le differenze tra i due capi della penisola non si sono attenuate, semmai la litigiosità e le incomprensioni regionali ne hanno accresciuto i contrasti. Se ne sono accorti, oltre che in America da parecchio tempo, anche in Europa, con la notizia di questi giorni che in talune scuole dell’Inghilterra e del Galles le autorità scolastiche chiedono agli studenti italiani se sono “Italiani, napoletani o siciliani”.
La differenza non dev’essere considerata di poco conto se inglesi e gallesi hanno rischiato le proteste della diplomazia italiana, che è puntualmente arrivata per bocca dell’ambasciatore italiano a Londra, tale Pasquale Terracciano (un nome, una marca, una garanzia!), il quale non facendo mistero di considerare “razzista” il questionario inglese, ha ricordato al colto e all’inclita, che “L’Italia è uno stato unitario dal 17 marzo 1861”, che pertanto, pur esistendo ancora i dialetti, non ci sono più “differenze nazionali”. Vale a dire “non più napoletani o siciliani ma tutti italiani”.
Beato lui che ci crede!
Naturalmente gli inglesi non hanno fatto una piega, ritenendo più che legittimo informarsi sulle origini geografiche degli allievi stranieri, come farebbero tra gli stessi studenti scozzesi o gallesi o irlandesi. Ma poco è mancato che il Terracciano (si direbbe per fatto personale), oltre alla protesta formale desse seguito a un grave incidente diplomatico, essendogli sfuggito che l’aver considerato il quesito britannico una forma di discriminazione inaccettabile, ha di fatto avvalorato la tesi che qualche differenza tra Nord e Sud vi sia, e se qualche differenza c’è, come crediamo anche noi, non sia per nulla a vantaggio del Sud.
Mafia e malavita non sono etichette di virtù. E l’arretratezza economica e culturale non ne è che il corollario. Dove mafia e malavita allignano lo sanno bene anche gli inglesi che hanno tutto il diritto di informarsi su chi si mettono in casa. Del resto già all’inizio del XX secolo il questionario per i visti d’ingresso negli Stati Uniti, che i viaggiatori di tutte le classi (non solo gli emigranti) avevano l’obbligo di riempire e firmare, comprendeva la differenza di razza. Secondo il governo americano, gli italiani non formavano una sola razza come i popoli delle altre nazioni d’Europa, ma due:”North Italy” e “South Italy”, e all’ufficio immigrazione venivano selezionati in due gruppi distinti e separati: settentrionali da una parte e meridionali dall’altra, e nessun diplomatico zelante ritenne di dover protestare; e tanto meno il governo italiano che, secondo un rapporto ufficiale, “era piuttosto ansioso di liberarsi di quanta più plebe meridionale possibile che altrimenti sarebbe andata a ingrossare le file del brigantaggio”. O emigranti o briganti! Anche la protesta dell’ambasciatore Terracciano finirà in niente. Gli inglesi, freddi e imperturbabili, sono poco propensi a farsi impressionare: e del resto, pare abbiano osservato con ironia, sta ai napoletani e ai siciliani cancellare la cattiva idea che qualcuno si è fatta di loro. La colpa è di chi ruba, non di chi denuncia i ladri.