Quando D’Alema si dimise dopo la sconfitta alle regionali. Ma erano partiti veri, quelli!

Foto Roberto Monaldo / LaPresse 20-01-2018 Roma  Politica Trasmissione tv "In Mezz'Ora" Nella foto Massimo D'Alema, sullo schermo Luigi Di Maio Photo Roberto Monaldo / LaPresse 20-01-2018 Rome  (Italy) Tv program  "In Mezz'Ora" In the photo Massimo D'Alema

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

rassegna stampa

“Ho ritenuto giusto, per un atto di sensibilità politica, e non certo per dovere istituzionale…”. Alle otto meno un quarto la porta dello studio del Quirinale si apre e appare lo sconfitto. Nè l’ elegante grisaglia, nè l’ impeccabile camicia celeste del premier rivelano alcun turbamento, nessuna fatica. Ma la faccia sì: più pallida e affilata del solito. Solo l’ orgoglio ferito del premier si risveglia subito, dalla prima battuta, con un’ occhiata di sfida diretta alla telecamera: sono qui con le dimissioni in tasca che Ciampi ha respinto, ma sappiate che non l’ ho fatto perchè dovevo, “non certo per dovere istituzionale”, ma perchè “mi sembrava giusto”. Si tratta dopotutto di elezioni regionali e non di una sconfitta alle politiche. Ma non è così. Tutti lo sanno e D’ Alema per primo: era stato lui, il premier, dall’ inizio di febbraio, a decidere di scendere sul terreno proposto da Berlusconi: una sfida politica tra i due leader dei poli. Non solo, ma D’ Alema considerava queste elezioni regionali il banco di prova ideale per sgombrare il terreno dalla questione più lacerante per il centrosinistra, quello della leadership. Se le avesse vinte, altro che primarie! Chi avrebbe più potuto mettere in discussione la sua legittima pretesa di guidare la coalizione nel 2001? Le elezioni, invece, sono state una cocente sconfitta, e quindi “ho ritenuto giusto prendere atto che la conclusione del duro confronto politico per le elezioni regionali ha visto il successo di una opposizione che aveva chiesto fin dall’ inizio le dimissioni del governo. Pertanto, ritengo giusto portare in Parlamento il confronto politico”.

Mercoledì il presidente del consiglio andrà al Senato per verificare se ancora c’ è una maggioranza e se questa intende davvero far svolgere il referendum del 21 maggio o se invece, approfittando dell’ eventuale scioglimento delle Camere, non decida di mandare all’ aria il referendum antiproporzionale sulla legge elettorale. Ma – avverte D’ Alema – “vorrei subito rendere chiaro che il mio giudizio è che sarebbe un grave errore lo scioglimento delle Camere”. Non è detto che si arrivi al voto, perchè dall’ andamento del dibattito D’ Alema potrebbe trarre la convinzione che è meglio confermare le dimissioni. Del resto il premier sconfitto, ieri avrebbe ripetuto più volte che il suo compito al governo è arrivato alla fine e che comunque non sarà lui il candidato del centrosinistra alle politiche dell’ anno prossimo. Ma sciogliere le Camere no. Sarebbe per D’ Alema un errore e uno sfregio alla volontà dei cittadini che hanno firmato in massa per la consultazione popolare.

“E’ stato già fissato un referendum ammesso dalla Corte costituzionale. Questo referendum – dice D’ Alema – tocca la legge elettorale. La mia opinione è che sia dovere del Parlamento riformare la legge elettorale e dare al paese un sistema che garantisca di più la stabilità e l’ autorevolezza dei governi”. Però il fronte favorevole al referendum è già molto esiguo nel centrosinistra e in più ha perso un pezzo importante come il partito di Fini che assieme a tutto il Polo chiede elezioni anticipate, attestarsi sulla linea delle difesa del referendum diventa quasi impossibile. E quindi “dal momento che non voglio farmi scudo di questa esigenza per difendere la posizione del mio governo, rimetterò – annuncia D’ Alema – queste considerazioni di fronte al Parlamento perchè in quella sede ognuno si prenda le sue responsabilità delle quali io responsabilmente prenderò atto”. La decisione di rassegnare le dimissioni D’ Alema l’ aveva presa nella notte, dopo il voto, quando poco prima dell’ alba le proiezioni ormai consolidate e le prime cifre ufficiali delineavano il quadro di una drammatica sconfitta. Ieri mattina – dopo un giro di telefonate per cercare una linea comune – D’ Alema ha convocato i leader della maggioranza a cui ha detto tre cose. La prima, ovviamente, che il centrosinistra aveva perso. La seconda che ammetteva di aver sbagliato previsioni sul risultato e che le dimissioni per la sconfitta “personale” erano pronte. La terza che – di fronte alla volontà pressochè unanime degli alleati di trovare un nuovo candidato- premier per le prossime elezioni – avrebbe risolto la questione facendosi da parte. Nel pomeriggio ha convocato il consiglio dei ministri per annunciare le dimissioni e alle diciannove è salito al Quirinale. La “regata” più difficile “è appena cominciata”, per usare le parole del premier che al consiglio dei ministri ha detto di non voler aspettare: “Non mi faccio chiedere le dimissioni dal Polo”. D’ Alema non vuole rimanere al governo, anche perchè i suoi alleati vogliono che gestisca la fase pre-elettorale. Il suo obiettivo è il referendum elettorale. Polo e Lega vogliono le elezioni subito. Fini è disposto a rinunciare al referendum di cui è uno dei promotori, per andare al voto. Nel centrosinistra solo Ds e democratici sono a favore. Tutti gli altri remano contro.

di GIANLUCA LUZI

da https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2000/04/18/alema-da-le-dimissioni-il-mio.html

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