Quando a Roma c’era la sharia

Polizia-sharia

di ROMANO BRACALINI – Non siamo immuni da colpe e il nostro rimprovero è viziato da un pregiudizio lar-gamente diffuso nei secoli. Tornano a galla i peggiori ricordi e non sono poi così lontani. Come dimenticare che nella Roma fino al
1870, nell’agonia dell’ultimo Papa-re, era in vigore una specie di sharia, in cui la legge civile era bandita dalla vita pubblica e dai tribunali ecclesiastici che giudicavano con diverso criterio a seconda che il colpevole fosse un religioso o uomo della strada. Due percorsi diversi e il religioso aveva diritto a un trattamento privilegiato, mentre il povero cristo andava in galera o sul patibolo. La giustizia papale prevedeva la pena di morte eseguita mediante la ghigliottina. La Chiesa era la principale nemica della Rivolu-zione francese ma aveva trovato efficace la ghigliottina e l’aveva adottata come mezzo rapido e, a quanto pare, indolore, giacchènessuno ha potuto riferirlo. Non c’era settore della vita privata in cui il
clero non avesse il diritto di intromettersi. Non c’era riparo nemmeno nell’intimità della famiglia. I romani avevano l’obbligo (l’obbligo) della comunione. Chi non santi-ficava la Pasqua, chi mangiava di grasso il venerdì, veniva punito e si presume che all’ora di pranzo facesse irruzione la Polizia per accertarsi che il precetto fosse rispettato. La legge faceva obbligo ai sudditi di denunciare gli eretici e i sospetti di eresia, incoraggiando i più riprovevoli istinti dell’uomo, il sospetto, la calunnia, la vendetta personale, come fanno tutti gli autoritarismi in spregio a ogni etica e comportamen-to civile. L’esempio poco commendevole del clero favoriva le peggiori disposizioni del popolo che viveva di estorsioni, di rapina, di frode. A Roma, purchè potenti, si poteva comprare di tutto, anche i quarti di nobiltà. Il temuto cardinale Antonelli, segretario di stato, sguardo d’avvolto, colorito olivastro, distante e altero, veniva da un’umile famiglia della Ciociaria. Si fece decretare dal Municipio l’onore della citta-dinanza e della nobiltà romana per sé e per i suoi fratelli. Nominò il fratello Filippo governatore della Banca romana e a tutti gli altri, nominati conti, procurò un lucroso impiego. Il vizio democristiano delle clientele e della corruttela era già stato inventato nella Roma “torva e maneggiona” del periodo papale.

Non c’era lavoro a Roma e non era nemmeno tenuto in grande onore. Ci si arraggiava, secondo un metodo secolare di abusi e traffi-ci poco onesti. Nell’Agro romano i contadini inselvatichiti vivevano come le tribù primitive. Per gli sfoghi quotidiani del popolo ves-sato c’era la statua di Pasquino dove furtiva-mente si attaccavano le invettive contro i preti. Il popolino la sera andava a ubriacarsi nelle bettole, il vino dava alla testa e ci scappava il morto. I duelli a coltello erano frequenti e per attaccare briga ci voleva poco. L’ozio è il padre dei vizi. La mattina all’alba passava un carro per raccogliere i cadaveri riversi sulle strade. Nessuno che fosse morto di fatica.

Nelle poche scuole si insegnavano poche nozioni di dottrina, non c’erano giornali degni del nome, le maggiori opere di letteratura non avevano accesso nello stato romano. Si ignoravano i massimi filosofi e scienziati dell’umanità. Nello Stato pontificio gli ebrei erano perseguitati e non potevano uscire dal ghetto. L’ultimo interdetto pubblicato dalla Santa Inquisizione contro gli israeliti risaliva al 1843. Gli ebrei non potevano dare alloggio né servire cibo ai cristiani. Tutti gli ebrei, senza eccezione, dovevano vendere entro tre mesi i loro beni mobili e immobili, pena la vendita all’incanto. Non potevano intrattenere rapporti di amicizia con i cristiani. Non potevano fare gli avvocati, i notai. I medici israeliti
potevano curare solo gli israeliti. Non potevano fare commercio di oggetti sacri, né di libri di qualunque specie, sotto la pena di cento scudi di multa e sette anni di carcere. Nel seppellire i morti non dovevano fare alcuna cerimonia. Il sabato, giorno festivo ebraico, erano costretti ad ascoltare la messa in chiesa. Taluni tra gli obblighi più odiosi vennero vennero presi ad esempio dal Fascismo antisemita. Nel 1851 un picco-lo ebreo, Edgardo Levi Mortara, di Bologna, venne rapito alla famiglia dalla Polizia pontificia, spedito in convento e convertito al Cattolicesimo per ordine di Pio IX. Le efferatezze dell’Afghanistan tribale dei talebani riecheggiano nelle conversione for-zata del piccolo ebreo italiano non più resti-tuito alla famiglia. Nel 1867 venne eretta in piazza del popolo la ghigliottina e i liberali Monti e Tognetti, in fama di “criminali” carbonari, vennero decapitati davanti al popolo romano. Il Papa aveva respinto la grazia.

Una delle quattro virtù teologali prescriveva “odio senza tregua ai liberali”. Il Risorgi-mento democratico, al quale apparteneva anche il federalista lombardo Carlo Cattaneo, intendeva rovesciare l’immagine odio-sa e retriva di un’Italia servile, non combat-teva contro la religione, come pretende l’o-dierna propaganda clerico-reazionaria, lot-tava per abbattere, questo sì, gli ultimi presidi dell’assolutismo cattolico romano che umiliava la dignità dell’uomo e disprezzava la libertà. Esattamente come l’Islam. Era un processo inevitabile quello che si sarebbe compiuto. Più tardi papa Paolo VI riconobbe al Risorgimento il merito di aver abbattuto
l’anacronistico potere temporale della Chie-sa e di aver favorito l’avvento di un Cattolicesimo liberale moderno. Joseph de Maistre aveva coniato il motto truce e poco cristiano: «Chi tocca il Papa muore». Il Risorgimento era riuscito a conciliare il dogma con la libertà. Esattamente quello che sarebbe auspicabile avvenisse nell’Islam col potere temporale degli Imam.

(da Il Federalismo, direttore responsabile Stefania Piazzo)

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