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Prima (o poi) gli italiani si stancheranno del reddito di cittadinanza farlocco, della Fornero appena ritoccata e della flat tax col binocolo

taxdi RICCARDO POZZI – Il Ministro degli Interni e Segretario di un partito una volta registrato come “Lega nord per l’indipendenza della Padania” si fregia quotidianamente di un consenso plebiscitario interno e di uno crescente esterno che sembrano mischiarsi con sapiente scaltrezza. Questo gli consente di  mantenere un atteggiamento molto muscolare sui suoi slogan e le parole d’ordine più recenti, nonché piuttosto dispotico e antidemocratico con la dissidenza interna che naturalmente esiste ed ha anche una certa consistenza, nonostante la compattezza che si vuole far percepire dai vertici del partito. In realtà disaggregando i risultati elettorali si nota come il consenso crescente di Salvini sul fronte esterno, basandosi su una evidente cannibalizzazione dei voti di Forza Italia, abbia comunque un “tappo” fisiologico rappresentato dalla dimensione oggettiva della preda e un punto debole che si materializza nella, comunque importante, forza mediatica delle strutture politiche dell’ex Cavaliere, poco disposte ad avallare un completo impossessamento leghista del centrodestra tutto.

Il dissenso interno, invece, inizialmente valutabile intorno al 20% ma pronto a prendere consistenza alle prime avvisaglie di inconcludenza programmatica del giovane leader, viene ben nascosto nella crescita complessiva del movimento nei sondaggi e mai nominato da nessun media, che tende a mostrare un fronte politicamente compatto e coperto dietro alla nuova leadership.

In realtà le cose non stanno proprio così.

Già  il direttore del “Fatto” Travaglio o personaggi come Massimo Cacciari si sono chiesti più volte come   Salvini fosse riuscito a trascinare con sé tutto un partito stravolgendo completamente l’oggetto sociale del movimento e oscurando clamorosamente gli obiettivi storici che sono alla base della sua nascita. Ma più recentemente qualcuno comincia a interrogarsi più seriamente sulla vera natura di quella svolta nazional-patriottica che stonava sull’ultimo prato di Pontida, creando non pochi imbarazzi tra la sia pur minoritaria vecchia guardia che continuava ad indossare gli storici simboli e, ad esempio,  il folclore neounitarista delle delegazioni calabresi, campane o siciliane, in oggettiva difficoltà di fronte alle vecchie bandiere del ”prima il nord”.

Ovviamente il gruppo dirigente minimizza e prova a stendere un telo di omogeneità culturale sull’operazione nazionalista, additando i nuovi nemici comuni che, quelli sì, minaccerebbero il core-business   dell’Italia intera, dalle Alpi a Lampedusa, ovvero i migranti e l’Europa.

Ma il consenso che Salvini sta ricevendo da destra grazie alla sua muscolarità mediatica nasconde la silenziosa diaspora che nel nord produttivo, tassato e dimenticato, sta lentamente montando, anche se al momento  oscurata da una parziale confluenza nell’astensionismo e dai movimenti indipendentisti antagonisti alla Lega ancora troppo disuniti per rappresentare un pericolo.

Terminata la cannibalizzazione e messi alla prova dell’aritmetica i postulati economici del nuovo Matteo nazionale, arriverà tuttavia il momento della realtà, il momento in cui l’elettorato, che per sfinimento politico ha provato a dare fiducia anche a quest’ultima iniziativa gialloverde, verificherà che il reddito di cittadinanza sarà solo iniziato, la flat tax appena accennata e la legge Fornero giusto un po’  cartavetrata. Si scoprirà così che la questione settentrionale, ovvio specchio di quella meridionale, non sono state affatto “superate” ma sono sempre lì, con i 100 miliardi all’anno di residuo fiscale scippato a tre regioni e mal speso in tutte le altre. Difficile a quel punto equivocare sul chi  ha ragione o chi viene prima. Prima il nord o  prima gli italiani?

Forse semplicemente prima loro.

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