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Poveri grazie anche alla classe politica che viene dal Nord

di STEFANIA PIAZZO  –  Tra reddito di cittadinanza e reddito di inclusione si fa fatica a scoprire la differenza geografica della distribuzione del sussidio. I criteri di assegnazione infatti  non considerano il diverso costo della vita – vedi la tabella ISTAT, con differenze del 40-50% tra NORD e SUD. In uno stato federale si eviterebbero discriminazioni e assistenzialismo. In pratica, la quota di tasse pagata dalle città del Nord invece che essere destinata ai propri poveri, finisce a chi vive nei paesini del Sud. Come sempre da cent’anni. 

povertà

SUD

Più spesso su questo giornale lo abbiamo scritto che la questione settentrionale è una questione di giustizia sociale. Senza libertà economica non si è persone libere. Non si può scegliere.

Certo, non accadrebbe mai a Busto Arsizio di sentire, come accaduto per Mazara del Vallo,   il sindaco lamentarsi per  il fatto che al museo che conserva un importante Satiro, la Regione Sicilia (è Sud, vero?) avesse destinato la bellezza di 25 lavoratori, in 100 e poco più metri quadrati di sala. E non erano abbastanza tanto che i festivi chiudevano. Così, il Comune, doveva provvedere con uomini propri. No, al Nord questo non accade. Però succede, al Nord, che le multinazionali per massimizzare i profitti, specialmente nelle grandi catene quotate in borsa, in nome del liberismo, della bontà della concorrenza, stiano pensando di sostituire ai dipendenti a tempo determinato, dei giovani stagisti: 500 euro al mese. La metà dello stipendio. E avanti pedalare. Questa povertà non dipende dall’Istat né dalla questione settentrionale ma nel vuoto morale della classe imprenditoriale. E’ speculazione, prevista dalla legge. Il Nord ne è afflitto tanto se non più del Sud.

Se è vero che su almeno 2 milioni di poveri al Nord, almeno 700mila sono lombardi, la tabella rende giustizia ai soliti dati Istat che spaccano il pollo a metà, perché resta sul tavolo della politica l’irrisolta questione del potere d’acquisto del Nord che erode i salari fino a ridurre il loro peso reale.

La povertà non è di oggi. Gli effetti duraturi della crisi erano già consolidati un paio di anni fa. “L’Istat nel suo rapporto sulla povertà che dice adesso? Che nel 2013  è risultata pari al 21,4% e corrisponde a una spesa media equivalente delle famiglie povere pari a 764 euro mensili; nel 2012 era di 793,32 euro mensili. Inutile ripetere che vince il Mezzogiorno nella media dell’Istat, la povertà cresce del 23,5%,  rispetto al 2012 (era il 21,4%). Ma nel Nord e nel Centro, dove la spesa media mensile equivalente delle famiglie povere è più elevata (capirai…. 801,79 e 800,29 euro rispettivamente), l’intensità risulta pressoché stabile intorno al 17,6%. Giusto per non ricordare che il potere reale d’acquisto va calcolato anche sui poveri, non solo su chi ha una busta paga vera”, commentava giusto lindipendenzanuova.com

Va anche ricordato che il non superato studio della Bocconi,  nel confronto tra Nord e Sud secondo quanto relazionavano gli economisti Tito Boeri (Bocconi), Andrea Ichino (European University Institute) ed Enrico Moretti (Berkeley), accerta che il Sud sta meglio. Nel loro lavoro, “Costo della casa e differenze salariali in Italia”, emerge con gravità la diversa velocità di spesa in particolare per la prima voce nel bilancio delle famiglie, la casa, che influenza e cambia radicalmente il costo della vita in una specifica area geografica, generando un “effetto trascinamento” per tutti gli altri acquisti (sia di beni che di servizi).

Dicevano infatti Boeri, Ichino e Moretti, che, a parità di salari, alcune province del Sud hanno più potere d’acquisto.

“I salari reali di Ragusa sono più alti di quelli di Milano del 38%, per via del minore costo della vita”. Per avere le stesse opportunità, secondo i professori, per avere lo stesso potere d’acquisto, le retribuzioni a Milano dovrebbero crescere del 37% per un bancario e del 48% per un insegnante.

Il potere d’acquisto stravince intanto a  Caltanissetta, Crotone, Enna; mentre le ultime si concentrano al Nord: Sassari, Aosta e Milano.

“L’uguaglianza dei salari nominali – commentava Andrea Ichino – anche se è preferibile, vista la preferenza collettiva per l’equità, genera di fatto ineguaglianze, rendite, sconfitti e vincitori”. 

L’Istat già allora affermava: ” L’aumento della povertà relativa tra le famiglie più ampie si osserva sia nel Nord (dove a peggiorare è soprattutto la condizione delle coppie con tre o più figli, per le quali l’incidenza passa dal 13,6% al 21,9%), sia nel Mezzogiorno (l’incidenza tra le coppie con tre o più figli minori passa dal 40,2 al 51,2%), mentre nel Centro ha colpito soprattutto le coppie con due figli (dall’8,8 al 12,7%), e con almeno un figlio minore (dal 10,3 al 13,4%). Nel Nord migliora invece la condizione dei single con meno di 65 anni (dal 2,6 all’1,1%, in particolare se con meno di 35 anni), che si attestano sui livelli osservati nel 2011, a seguito del ritorno nella famiglia di origine o della mancata formazione di una nuova famiglia da parte dei giovani in condizioni economiche meno buone”.

Cioè, se non capiamo male, si torna o si resta in casa con i genitori anziani. Trippa non ce n’è. O si fanno mille lavoretti per sopravvivere.

“Per anni i politici italiani e i governi che si sono succeduti hanno abbandonato al loro destino le regioni del sud Italia, e il risultato è un livello di povertà insostenibile per un paese civile – affermava il Presidente Codacons”.

Secondo lo studio bocconiano prima citato e mai confutato, per vivere a parità di condizioni di spesa, al Nord occorrerebbe avere salari più alti più di un terzo o quasi della metà per competere con chi vive al Sud.

Detto questo, si arriva al dunque: Grande Nord deve spiegare ai suoi futuri elettori in uscita dal nazionalismo salviniano, e dal falso egualitarismo della sinistra, e dalla finta meritocrazia del mercato (non è vero che vince il migliore ma chi ha più conoscenze o aiutini) come ci si arriva e in che tempi, in quante legislature si potrà cambiare il sistema fiscale. 5, 10, 15 anni per uno Stato federale? Senza che il Nord perda posti di lavoro, illudendo chi c’ha creduto. Quali imprenditori, aziende, società, al Nord, sono disposti a pagare, in regola, inciso non trascurabile, più di 1.000, 1.200 euro i propri dipendenti magari laureati e con bagaglio professionale? Altrimenti dopo 25 anni di promesse leghiste, prosegue la stagione di fuga dalla credibilità della politica del Nord. Il vuoto che già si vive. Dare false speranze è  stata una odiosa e imitata consuetudine della Prima Repubblica e dei politici del Nord sulla pelle dei lavoratori e dei poveri del Nord. Se l’astensione cresce nelle urne, è anche perché cresce la fame ingiustificata nei cittadini del Nord. Vigliaccheria e tradimento è quello che stanno subendo. Qual è la via d’uscita, reale se non una classe politica credibile, con una leadership forte, rispettosa dei patti, della vita e coerente?

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