di ROBERTO BERNARDELLI – A quanto ammonta al massimo il reddito di cittadinanza? Sono 780 euro al mese che si avvicinano allo stipendio minimo di accesso di un operaio o al mensile stagionale di chi raccoglie frutta nei campi. E’ anche lo stipendio netto che può assimilarsi ad un piccolo part time. Consentirebbe a un single in età da lavoro di superare ampiamente la sua soglia di povertà assoluta (560 euro) se vive in un piccolo comune del Mezzogiorno. “Ma non chiude certo il gap di deprivazione in cui si trova un suo concittadino, nelle medesime condizioni, che vive in un’area metropolitana del Nord (dove invece la soglia di povertà assoluta è di 826,7 euro)”. Lo scrive il quotidiano di Confindustria nei giorni scorsi riesaminando il provvedimento.
“Il costo della vita, come spiegano i calcolatori Istat, cambia molto lungo la Penisola. E fa variare parecchio le soglie mensili di spesa per l’acquisto di beni essenziali per vivere appena fuori dall’indigenza”. In altre parole, col reddito di cittadinanza al Sud, che ne percepirà il 70% dello stanziamento, ci campi. Al Nord assolutamente no. Perché la soglia di povertà è più alta del reddito di cittadinanza. Mentre al Sud la povertà è di 320 euro più bassa.
Ebbene, l’ultimo Rapporto sul Benessere equo e sostenibile (Bes – Istat) dice che nel 2017 in un grande comune del Centro (50-250mila abitanti) servivano almeno 754 euro per fare quella spesa minima, mentre in un analogo municipio del Sud ne bastavano 597. La differenza supera il 20 per cento, ricorda ancora Il Sole24Ore.
Ma il provvedimento tiene conto del diverso potere d’acquisto? E poi, oltre al potere d’acquisto, deve esserci anche il potere disincentivante al lasciare il sussidio. Perché se il reddito si avvicina o addirittura supera il reddito da primo impiego, scatta il disincentivo a lavorare.
“Spiega Cristiano Gori, responsabile scientifico dell’Alleanza contro la povertà: «Per quanto riguarda gli importi, si deve tener conto delle significative differenze nel costo della vita esistenti tra le aree del Paese. Se lo scopo è assicurare ad ogni famiglia in povertà le risorse economiche necessarie a raggiungere uno standard di vita decente, l’ammontare di queste risorse non potrà che essere differenziato tra le diverse aree del Paese».
“Il problema è ben presente ai policy maker, che infatti stanno puntando su soglie di reddito differenziate. Oltre alle soglie Isee si terrà conto (scontando) delle spese per l’affitto e (contando) il fitto figurativo legato alla casa di proprietà. Si tratta di dimensioni importanti per due ragioni: perché il costo dell’abitare pesa molto nel paniere della spesa di una famiglia povera e perché quel costo varia molto nelle diverse aree geografiche”.
Ma allora, se è risaputo, perché vale anche per le pensioni e il reddito da lavoro in generale? Se il 30% viene bruciato dal diverso costo della vita, perché non allargare il dibattito politico alla disparità che subisce il Nord?
“Il problema non è solo tra Sud e Centro-Nord (dove l’anno scorso viveva il 57% dei poveri assoluti). «Bisogna prendere atto del cambiamento epocale avvenuto nel profilo della popolazione povera in Italia» spiega ancora Cristiano Gori. A partire dal 2005 l’indigenza è cresciuta tra i gruppi sociali storicamente più colpiti (Sud, famiglie senza occupati, famiglie con tre figli), ma ha conosciuto anche una diffusione senza precedenti tra fasce di popolazione che, in precedenza, si sentivano al sicuro (Nord, famiglie con occupati, famiglie con uno o due figli). «La povertà – conclude Gori – ha «rotto gli argini» e ora riguarda trasversalmente l’intera società italiana: come mai prima, il rischio di cadervi è diffuso e percepito come una concreta minaccia».