Peste suina, in gioco la sopravvivenza degli allevamenti

“E’ necessario agire subito, siamo molto preoccupati. Se arriva lo stop all’export di prosciutti e salami da parte di paesi terzi come Gran Bretagna, Stati Uniti, Svizzera e Giappone saranno guai seri. Se perdiamo il 15-18% dell’export sarà a rischio la sopravvivenza degli stessi allevamenti suini italiani, che sono già in sofferenza da mesi per l’aumento del costo dei mangimi e dell’energia”. Così, con Adnkronos/Labitalia, Maurizio Gallo, direttore dell’Associazione nazionale allevatori suini (Anas), sugli effetti della diffusione della PESTE SUINA africana nel nostro Paese. Gallo chiarisce che con “gli altri paesi europei vige la logica della regionalizzazione che prevede lo stop all’export solo dei prodotti delle zone interessate. Con paesi terzi invece basta un solo cinghiale infetto per bloccare l’esportazione di carne SUINA di tutto il Paese”, sottolinea preoccupato. Per quanto riguarda la Cina, invece, “è già sceso nei mesi scorsi e riguarda in gran parte la parte meno nobile delle carcasse ma è comunque importante per le aziende perchè permette di valorizzare al meglio appunto il prodotto”, conclude.

“Se per via della PESTE SUINA arriverà lo stop all’export di prosciutti e salami il rischio concreto è di vedere un crollo dei prezzi sul mercato interno che poi arriverà a scaricarsi sugli allevamenti suinicoli che già sono in forte sofferenza”. “In Italia vengono lavorate 2 milioni e mezzo di tonnellate di carne SUINA, di cui 400 mila vengono poi esportate. L’80% della produzione di carne SUINA viene dedicata a prosciutti e salami, alla realizzazione di dop e igp. Buona parte di questi prodotti vengono consumati dal mercato interno, che è molto importante, ma non è sufficiente a reggere l’intero comparto senza l’export”.

“C’è in Italia una grande diffusione di allevamento allo stato brado di suini di razze autoctone che in questo momento sono le più a rischio perchè stando all’aperto hanno più possibilità di entrare in contatto con i cinghiali”.

“Servono politiche più incisive nella gestione della problematica dei cinghiali, che sono tra i principali diffusori della malattia. Hanno raggiunto una densità ormai inaccettabile sull’Appennino, in pianura padana ma anche in altre zone del Paese. Le linee guida ci sono ma il rimpallo di responsabilità tra regioni e province sull’attività venatorie non aiuta”.

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