di STEFANIA PIAZZO – Nonostante una Lega data al 36% anni fa…, al Nord c’era e c’è un vuoto di potere. Che non significa assenza di poltrone. Quelle ci sono e ci saranno sempre. E’ un vuoto politico, di significato e di progetto, il vuoto che affligge il Nord. Ciò che è stato non torna più, è affidato al giudizio della storia. Cosa resta?
I cittadini reagiscono con l’abbandono del voto. La gente si sente tradita. E si rassegna perché rassegnazione significa aver abbassato l’insegna, cioè la propria bandiera. Lo ha fatto l’elettorato con Matteo Renzi, dal 40% è sceso sotto il 20%. E sappiamo come è andata a finire. Quei voti sono stati intercettati da altri, in parte, e in parte sono rimasti fuori dal seggio, nell’astensione.
Chi è in grado di intercettare oggi i voti persi dalla Lega? Chi ha la certezza di averli già in tasca, quei voti? C’è da riflettere…
Il cittadino tradito non perdona. A parlare di tradimenti la memoria porta a Dante, al nono cerchio dell’Inferno, nel lago ghiacciato dove è intrappolato Lucifero che, non a caso, rimastica di continuo Bruto, Cassio e Giuda. Il figlio, l’amico, il discepolo. Tre gradi di relazione sommersi dal ghiaccio e dal vento gelido mosso dalle ali del signore degli inferi. Meglio dunque non continuare a rimestare nel passato. Ma proporre qualcosa che la storia non abbia già bocciato.
I partiti oggi sembrano la brutta copia del nazionalsocialismo dal quale hanno preso il peggio, la schiuma. Nell’est dell’Europa era così, se non ti allineavi venivi epurato. E finivi nel Gulag, vittima di bugie e complotti ad arte.
La slealtà è profonda e reciproca nel mondo della bugia, che prende le sembianze del populismo, che promette sapendo di non mantenere. Viviamo nell’era del virtuale, del consenso mediatico che contagia il vertice, che cade a cascata sulla base, contaminando in orizzontale la comunità. Tutti credono alle false speranze. I partiti così si gonfiano e si sgonfiano.
Il Nord è per il centralismo una risorsa da sfruttare, come la sua gente, immensamente silenziosa e curva quando lavora. Al Nord si dissoda la terra con la vanga, dopo ogni colpo la schiena torna diritta e lo sguardo è rivolto avanti, alla ricerca della libertà, sulle proprie gambe.
Il Nord deve difendersi da chi, eletto al Nord, cura gli interessi di chi usa la zappa, di chi lavora e vuole fare politica con la schiena piegata davanti a qualcosa, in segno di sudditanza. Non è la postura del Nord. Che però vota con la testa al Sud.
“Chi guarda avanti dieci anni pianta alberi, chi guarda avanti cento anni pianta uomini”. Lo avevano capito all’Assemblea costituente quando un meridionale, Arturo Carlo Jemolo, storico del Risorgimento, affermò che “Accanto alle regioni geograficamente e storicamente determinate – si legge nella relazione di mezzo secolo fa sul “Problema della regione” all’Assemblea costituente della II sottocommissione – esistono raggruppamenti che aspirano ad una propria individualità e offrono una tenace resistenza alla loro incorporazione in piú vaste aggregazioni territoriali”. E’ il primo accenno ad un’idea di macroregione, forse. Una storia che viene da lontano, ma che va svuotata da slogan e riempita da un progetto. E l’interlocutore è l’Europa. C’è un’idea di macroregione? Con che nome? Con che rapporti con l’Europa e il resto del Paese? Quali sono i percorsi democratici per costruirla?