Per la Svizzera il futuro non è fatto di divieti, come al Nord…

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di CHIARA M. BATTISTONI – Correvano gli anni Sessanta del secolo scorso quando Denis de Rougemont nel suo “La Svizzera Storia di un popolo felice” (Armando Dadò Editore) scriveva: “Se lo Stato nazionale ha i giorni contati, la Svizzera è il solo paese d’Europa che abbia modo di felicitarsene senza la minima riserva mentale. Perché la Svizzera non è nata da una volontà di potenza, come tutti gli Stati unificati da una dinastia conquistatrice, Francia, Castiglia, Prussia o Piemonte, ma da una libera associazione di comuni autonomi, che avevano come solo obiettivo la salvaguardia della loro libertà.”. E ancora: “Lungi dall’essere minacciata dalla disgregazione degli schemi napoleonici, essa può trovare, nella composizione progressiva di un’Europa delle regioni, lo sviluppo dei suoi principi originari.” Quasi sessant’anni dopo, in un’Europa messa a dura prova da flussi migratori incontrollati, una classe politica ben lontana dall’autorevolezza culturale dei Padri fondatori, popoli smarriti in cerca di identità perdute, la Svizzera (e con lei poche altre regioni d’Europa) è ancora un modello possibile per il Vecchio Continente, modello ampiamente incompreso eppure intrinsecamente “rivoluzionario” perché capace di stravolgere i paradigmi su cui sono nati e proliferati gli Stati nazione, proprio come scrisse De Rougemont.

Ho lasciato alle spalle le vette dei Grigioni in una giornata di sole e mi appresto a cambiare treno a Coira; un Interregio mi porterà a Zurigo in poco più di un’ora; chiudo il libro, lascio la lettura di De Rougemont e mi concentro sul paesaggio e sulla successione di quei Comuni che hanno reso grande la Confederazione e che in questi anni, con un processo unico nel suo genere per dimensione e pervasività, sono protagonisti di progressive fusioni. La grande Zurigo, area metropolitana che coinvolge ormai diversi Cantoni, quasi lambisce le colline moreniche di Glarona e i nuovi treni ad alta densità sfrecciano da un capo all’altro del lago di Zurigo e di Wesen, consentendo qui ciò che nel mio Paese richiederebbe forse due ore di viaggio.

La Confederazione, meglio di altri Paesi, ha sopportato il peso delle turbolenze globali. Il loro Presidente, il consigliere Johann N. Schneider-Amman e una vice presidente già presidente, il consigliere signora Doris Leuthard, sono persone concrete e resilienti che hanno già dimostrato tutto il loro valore, gente solida, che vive il pragmatismo elvetico con convinzione. “Tutti insieme, per il lavoro e per il nostro Paese” è la sintesi delle priorità presidenziali. Nel suo primo discorso all’Assemblea federale riunita in seduta plenaria il  Presidente ricordava che “Ci vuole il coraggio di prendere decisioni forti, in cui tutti devono fare la loro parte, altrimenti non si raggiunge nessun risultato. Dobbiamo tornare ad agire con coraggio e guardare al futuro con fiducia. Il futuro non è fatto di divieti, ma di idee da realizzare; diamo più responsabilità e assumiamoci più responsabilità.”

Avete letto bene. Il futuro non è fatto di divieti ma di idee di realizzare!

Appunto, idee da realizzare.

Da questa parte del Gottardo le parole sono misurate; la passione per la dialettica (che si concretizza tra l’altro nella capacità di comprendere, spesso parlare, almeno tre lingue nazionali) lascia posto all’essenzialità, scarna come le sculture di Giacometti, non per questo meno poetica e incisiva. E così anche il saluto di inizio anno, registrato a Basilea, sulle rive del Reno, non dura più di quattro minuti; Reno e Basilea scelti perché esprimono virtù tipiche della Svizzera: sovrana, al centro dell’Europa, con un’economia globale connessa con il mondo; capace di concentrare in uno spazio piccolissimo scienza, ricerca ed economia.”

Quando le idee sono chiare, in quattro minuti si può delineare il presente e pennellare il futuro. Così, dopo avere ricordato che chi fugge per sopravvivere e trova rifugio nella Confederazione deve rispettare le regole del Paese, c’è tutto il tempo per riflettere su libertà, sicurezza e benessere, frutto dell’impegno quotidiano dei cittadini, eppure per nulla scontati. Il futuro, osserva, richiederà misure urgenti, anche se impopolari ma soprattutto tanto lavoro, tutti insieme, cittadini e istituzioni. Apertura politica ed economica per via bilaterale, condizioni liberali e coraggio per le riforme più urgenti, fiducia e lavoro insieme: ecco le regole per far sì che la Confederazione possa continuare a essere il Paese solido che ha dimostrato di essere.

Eppure, a mio modo di vedere, la chiave del futuro è tutta lì, in quella frase già pronunciata all’Assemblea federale: il futuro non è fatto di divieti, ma di idee da realizzare. E’ l’essenza della libertà che sa generare, della libertà costruita sul patto di reciproca fiducia, della libertà responsabile che rende i cittadini uomini liberi di pensare e di realizzare e che rende lo Stato leggero. In altre parole, tutto ciò che costruisce e rinnova il patto federale.

 

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