Pensione cittadinanza. Il governo dà assegno più povero a chi ha versato più contributi

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di ANGELO VALENTINO  – Se non lo avessi letto non ci avrei creduto. Scherzi a parte, i paradossi della politica sono quelli che sono, ci siamo ormai abituati. Questo è un paese per furbi e lo dimostra una volta di più un dossier del Servizio politiche fiscali e previdenziali della Uil, di cui dà conto il Corriere della Sera in un servizio di Enrico Marro. Cos’hanno scoperto i sindacati? Che a fronte di due pensioni di uguale importo, se la prima è il frutto di contributi versati durante l’attività di lavoro, in proporzione l’importo sarà più basso rispetto alla seconda pensione che è però interamente o in parte assistenziale, perché si tratta di una «pensione di cittadinanza». Entrambe assegnate a persone che non hanno altri redditi. Sulla prima, però, il pensionato paga le tasse sulla seconda no. Una disparità di trattamento priva di giustificazioni evidenziata in uno studio del Servizio politiche fiscali e previdenziali della Uil, scrive il Corriere.

«La pensione di cittadinanza – dice il segretario confederale Domenico Proietti – priva di una curva di salvaguardia, fa sì che un pensionato che percepisca un assegno frutto di anni di contribuzione disponga, al netto delle tasse, di un reddito inferiore del 6% rispetto a un anziano che beneficia della pensione di cittadinanza. Una distorsione che penalizza chi ha versato di più».

Solo l’Italia può partorire obbobri simili. Lo studio prende come paradigma un single con una pensione di 9.360 euro lordi annui. “Questa persona, anche se non ha altri redditi, è soggetta all’aliquota Irpef, comprese le addizionali locali, e versa al fisco 595 euro di imposta. Il suo reddito netto diventa quindi di 8.765 euro. Un altro anziano, invece, ha come unico reddito sempre 9.360 euro, ma esso è la somma di una pensione che non supera la no tax area (un po’ più di 8mila euro) e per il resto della «pensione di cittadinanza», che è per legge esentasse. In questo caso, quindi, non sono dovute imposte e il pensionato ritrova con un 6,35% di reddito disponibile in più”.

Non se ne erano accorti prima?
Macché. Aggiunge il Corriere, rilanciando lo studio Uil:
“Questa distorsione arriva dopo un’altra già denunciata dal sindacato, che vede una forte sperequazione di trattamento a parità di reddito lavorativo tra un dipendente e una partita Iva, dopo l’introduzione della flat tax (aliquota del 15% fino a 65 mila euro di ricavi). Per esempio, un dipendente con 35mila euro lordi paga circa 9.400 euro di Irpef mentre un autonomo 5.250 euro, cioè il 44% in meno. Insomma, la giungla fiscale prolifera”. Come le menti diaboliche di lotta e di governo.
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