Occhio a dire: “Io sono il popolo”. Storia di Cola di Rienzo, il tribuno sovranista che, per un po’, conquistò Roma

coladi CASSANDRA – Ripassatevi la storia. La storia di un tribuno che esaltava il ruolo della nazione, la centralità di Roma, un sovranista antelitteram. Cola di Rienzo, siamo a Roma, metà del 1.300. Lui disse al popolo: io sono il popolo, io sono voi, se mi uccidete, è come se uccideste voi stessi! L’hanno ammazzato e trascinato giù dai colli romani attaccato ad una corda affinché il popolo potesse farne scempio. Poi appesero ciò che ne restava nel centro della capitale.

Guardate cosa dice di lui la Treccani. E osservate bene come la sua abilità lo portò ad avere per sè una sorta di investitura divina, provvidenziale. L’uomo giusto al momento giusto, ma non per sempre.

Tribuno e riformatore di Roma (Roma 1313 – ivi 1354). Figlio di un Lorenzo taverniere, benché più tardi lasciasse credere d’essere figlio illegittimo dell’imperatore Arrigo VII, Nicola si diede agli studî e alla professione di notaio, ma insieme si interessava ai monumenti e alla storia dell’antica Roma. Alla fine del 1342, inviato ambasciatore ad Avignone per invitare il papa Clemente VI a far ritorno a Roma, ne ottenne il favore, se non il ritorno, e la carica di notaio della Camera Capitolina. Dopo il rientro a Roma nell’estate del 1344, resosi sempre più popolare e guadagnatosi anche il favore del vescovo di Orvieto, Raimondo, vicario papale in spiritualibus, fu eletto il 20maggio 1347 tribuno e liberatore dello stato romano. Obbligò allora i potenti baroni a sottomettersi, e cercò di legare a sé i comuni e i signori italiani, specialmente quelli umbri e toscani.

Con fastosa cerimonia il 1º ag. 1347 assunse i titoli di candidatus Spiritus Sancti milesNicolaus severus et clemensliberator/”>liberator urbiszelator Italiaeamator orbis et tribunus augustus. Il fantastico suo reclamare per Roma la dignità di capitale del mondo, pur dichiarando di non voler attentare ai diritti della Chiesa, insospettì Clemente VI; l’ostilità del pontefice, la freddezza e la diffidenza di alcuni comuni italiani, la rivolta dei baroni, soprattutto colonnesi, scossero la posizione di C. che dovette fuggire. Rifugiatosi tra gli eremiti della Maiella, s’imbevve di profetismo escatologico, e con nuovi programmi imperiali si recò a Praga (luglio 1350), per esporli a Carlo IV. Arrestato come sospetto d’eresia dall’arcivescovo di quella città, fu tradotto ad Avignone, e quindi liberato per intercessione di Carlo IV, dell’arcivescovo stesso e del Petrarca, suo ammiratore (sett. 1353). Dal nuovo papa, Innocenzo VI, fu inviato allora in Italia, perché con la sua influenza appoggiasse il restauratore dello stato pontificio, Egidio Albornoz.

Nominato senatore di Roma, entrò come trionfatore nella città il 1º agosto 1354. Ma errori da lui commessi, per un’esaltazione che parve follia, di nuovo gli alienarono la popolarità e cadde ucciso in un tumulto. La breve esperienza di C., per avere espresso suggestivamente il trapasso dai miti universalistici medievali di Impero e Chiesa verso ideali, più moderni, di un Impero che avesse nel populus romanus (inteso come nazione italiana) il suo centro, e di una Chiesa realizzatrice di valori più spirituali, è stata da taluni storici intesa più creatrice di storia di quanto in realtà non sia stata, anche per il fatto che si intrecciò con l’esperienza petrarchesca certo più determinante nella storia della cultura.

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