Ministero della pubblica istruzione? Da abolire, non serve. Ma chi comanda nella scuola, di nuovo?

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di GIUSEPPE REGUZZONI – Chi comanda davvero nella scuola italiana? A Roma, tutti generali …

Il pezzo che segue era uscito sulla Padania a fine novembre 2010, quando la Lega era nella coalizione di governo,  ma, da allora, non è cambiato proprio nulla. Al MIUR c’era la Gelmini e le piazze brulicavano di docenti e studenti in protesta. Poi, cambiati i governi e i  ministri,  tutto rimase tale e quale, ma le piazze si svuotarono. La scuola italiana è saldamente in mano a una cricca di burocrati di area PD, l’unico partito che sulla scuola abbia compattamente avuto un progetto, sia pur di dominio e di sfruttamento. Si legge sulla stampa che tra gli ultimi regali nascosti del governo Gentiloni c’è un taglio di  160 milioni di euro alla scuola, che andranno a incidere sulla didattica, cioè sulla scuola vera.  Si legge che il Ministero, con la sua miriade di uffici e dirigenti non è stato toccato, anzi.  In più e a rendere invivibile la situazione ci ha pensato Renzi con la cosiddetta Buona Scuola, che ha dato il colpo di grazia a quel che restava di un’antica tradizione educativa, convogliando le poche risorse disponibili sulle solite agenzie chiamate a gestire quell’orrore che si sta rivelando l’Alternanza Scuola Lavoro.

Intanto la scuola va avanti, un vero buco nero, dove burocrati senz’anima gestiscono il futuro di milioni di ragazzi e giovani.

Ci dicono che servono interventi finanziari dolorosi, perché, altrimenti, lo spread si mangia tutto. Ebbene, eccoci qui, con l’ingenuità della zia Mariuccia, a rilevare che una soluzione immediata ci sarebbe: aboliamo il Ministero, sopprimiamolo, con le sue decine e decine di Dirigenti di prima fascia, pagati ben più di un deputato  o di un senatore.  Le scuole starebbero in piedi lo stesso: garantito. È già così in molti paesi: parliamone!

Al MIUR il problema è solo giustificare la propria esistenza,  inventandosi ogni giorno “progetti” nuovi, da scaraventare in basso, su ragazzi, famiglie e docenti (ormai sempre più demotivati). Tagliare, sopprimere e trasferire l’esistente direttamente sulle scuole, magari sui Consigli di Istituto, e non su Dirigenti, in qualche caso – possiamo chiedercelo? – di dubbia nomina. Non è impossibile. Il combinato disposto dell’Art 7 della Costituzione e la legge sull’Autonomia (DPR 275/1999) lo rendono fattibile, con un pochino di volontà politica.

Un dinosauro come il Ministero della Pubblica Istruzione (comunque decideranno di chiamarlo) ce l’abbiamo solo noi, ed è un dinosauro a più teste, tutte alquanto affamate: INVALSI, IRRE, USR, BLABLA … L’articolo qui riportato ha ormai i suoi anni, ma il MIUR come spazio di spartizione di posti non è cambiato per nulla, anzi. Forse i tagl iimposti dalla crisi sono anche un’occasione, purché si abbia il coraggio di tagliare in alto, e non i basso, come si è fatto sinora.

 Il dinosauro dalle molte teste è inutile e dannoso.

Si può vivere meglio senza. Si può tornare a insegnanti che insegnano e a studenti che studiano: è così semplice, proviamoci! Che cosa abbiamo, ormai, da perdere?  Che il prossimo ministro sia anche l’ultimo e faccia saltare il sistema, ormai irriformabile. Giù in basso, dove la scuola si fa davvero, gliene saremo grati.

 

 

 

 

Il dirigente? Dirige … un po’ come nell’esercito: generale, colonnello, capitano, tenente, sergente, caporale, soldato semplice e, di solito, c’è un rapporto di proporzione tra generali, colonnelli e soldati semplici. Vuol dire che, difficilmente, ci sono cento colonnelli e tre o quattro soldati semplici e che, se ci sono due battaglioni, una a est e uno a ovest, avranno più o meno lo stesso numero di generali, colonnelli etc. Troppo semplice, però, per un paese come l’Italia,  soprattutto se si pensa a quel comparto dell’Azienda Italia che ha più dipendenti, vale a dire la Pubblica Istruzione. Tra l’atro, c’è una leggenda metropolitana, che forse non è neanche tanto tale, che vuole che il Ministero della Pubblica Istruzione sia il terzo datore di lavoro nel mondo occidentale, dopo i Ministeri della Difesa di Stati Uniti e Francia, ma anche questa è un’altra storia … Il punto è un altro, ed è che i colonnelli nella scuola italiana non sono affatto distribuiti in maniera omogenea:  ci sono reparti con un generale (il Direttore Regionale) e un solo colonnello (i dirigenti di primo livello), altri con due, tre, dieci colonnelli …. Facile indovinare dove. Ancor più facile smettere di leggere pensando che si tratti del solito tecnicismo scolastico, non fosse per il fatto che dirigente di prima fascia significa quattrini. Tanti. Che se son  spesi bene, per premiare il merito e il lavoro e far funzionare la scuola, è certamente una gran bella cosa. Diversamente un po’ meno, visto che son soldi delle nostre tasse.

La legge prevede che le retribuzioni dei dirigenti siano disponibili on line e con un po’ di esercizio si può googlare, scoprendo che dirigente di prima fascia significa dai 140.000 ai 230.000 Euro all’anno; meglio dello stipendio di un deputato, per intenderci, con ottime ricadute sulla pensione. Interessante, allora, approfondire ulteriormente e vedere dove si trovano questi dirigenti di prima fascia (da non confondere con i Direttori Generali, di cui ce n’è uno per regione). La tabella è facilissima e quasi ovviamente scontata: uno in Lombardia, uno in Veneto, uno in Toscana … trentasette (37) a Roma, tutti al MIUR e calcolati per difetto. Se poi si entra negli organici del ministero, ufficio per ufficio, la cosa si fa ancora più divertente. Il Dipartimento per l’università, l’alta formazione artistica, musicale e coreutica è suddiviso in quattro uffici, ciascuno con un dirigente di prima fascia. Il dipartimento per la programmazione e la gestione delle risorse umane: quattro uffici quattro dirigenti Paperoni.

La Direzione per le risorse umane del Ministero: 8 uffici, 3 dirigenti di primo livello e 4 di secondo (una decina di migliaia di euro in meno all’anno). Possiamo solo immaginarci il numero incredibile di ufficiali, sottufficiali e soldati semplici impegnati giorno per giorno a gestire le risorse umane del ministero e a comprare penne, matite e risme di carta.  A Roma ci sono capodipartimenti con quattro o cinque uffici che gestiscono situazioni del tutto marginali, i cui responsabili sono tutti dirigenti di primo livello, al massimo delle posizioni retributive. Urgerebbe stendere un velo pietoso e avviarsi alla conclusione, ma non è finita, visto che, come è noto, il Torquemada della burocrazia italiana, ministro Renato Brunetta, ha recentemente messo mano al problema, imponendo un tetto del 30% sul numero dei funzionari meritevoli di speciale incentivo (solo i dirigenti, naturalmente, perché la truppa, secondo la migliore tradizione sabauda è carne da cannone). Fatta la legge, trovato subito l’inganno, visto che la percentuale si applica agli organici effettivi. Così, l’Ufficio Scolastico della Lombardia, che ha circa la metà dei funzionari di cui avrebbe diritto e bisogno, è premiato in proporzione.  La Campania, che ha il 100% dei dirigenti che le spettano, riceve il suo bel 30% in proporzione. Chi sia fesso si vede da sé …

Tutto deciso a Roma da un paio di burocrati che nessuno ha mai eletto: non solo non c’è il federalismo, in qualche modo previsto dall’art. 117 del Titolo V della Costituzione, modificato con referendum popolare nel 2001, ma non c’è la minima traccia nemmeno di una qualche forma di decentramento. Eppure nel 1997 la Bassanini (legge 59/1997 art 21) prevedeva il trasferimento di alcune competenze da Roma agli Uffici Scolastici regionali, con paritetico assorbimento delle competenze che, in precedenza, erano riservate ai Provveditorati, sul piano provinciale. Tutto questo non solo è rimasto lettera morta, ma si è persino assistito al triste spettacolo di un ulteriore accentramento sugli apparati romani. Si noti, non sul Ministro, ma proprio sul ministero, come struttura burocratica intoccabile.  Gli Uffici Scolastici Regionali, che avrebbero dovuto lavorare in sintonia con la gestione regionale della scuola, restano mere diramazioni di questa struttura di potere autoreferenziale. Il numero spaventoso di dirigenti strapagati che affollano gli uffici di Viale Trastevere è lì a dimostrare  chi comanda davvero nella scuola e intorno a che cosa essa viene costruita.  Si è persino riusciti a fare un passo indietro rispetto all’Italia postunitaria, che accordava una certa autonomia ai “regi provveditori regionali”.  Allora si capisce anche la storiella dei dirigenti di primo livello tutti concentrati a Roma. Il messaggio alla periferia dell’Impero è chiaro: voi non ne avete bisogno, comandiamo noi. Alla faccia della Costituzione e delle leggi della Repubblica. A sigillare la controriforma a settembre è arrivato da Roma l’ordine di cambiare persino il nome degli Uffici periferici: da settembre non più provinciali, ma “territoriali”, con la solita pomposa e inutile sigla, UST. Intanto, la CGIL continua a sbraitare nelle piazze e a indottrinare alunni e docenti, ma, a Roma, mediante i suoi uomini di fiducia (capigabinetto etc) tiene saldamente in mano il controllo dei posti dirigenziali e impedisce ogni forma di cambiamento. In Italia, si sa, le leggi si interpretano e si applicano. Si applicano con i nemici e si interpretano con gli amici che, per quanto riguarda la scuola, sono sempre quelli. Cambiano i governi, si inciucciano e si squagliano, ma Loro sono sempre lì, ai posti giusti. Loro sono la burocrazia romana, alleata con la sindacatocrazia, che, contrariamente a quel che vorrebbero si pensasse, non è un’astrazione, e nemmeno l’ipostasi del potere,  ma persone in carne e ossa, solo molto “amiche” tra loro, non nel senso che si vogliono tanto bene, ma perché considerano la scuola “cosa loro”. Uno per sindacato, in piena corrispondenza con gli equilibri di potere: CGIL, CISL, SNALS etc .

da La Padania novembre 2010

 

 

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