Nuova Caledonia, più che Macron o Le Pen interessa il referendum per l’indipendenza

Nel Pacifico meridionale la teoria della rivoluzione permanente di Lev Trotsky si fa referendum. Almeno così pare, a giudicare dalle nuove richieste di voto avanzate dai partiti indipendentisti della Nuova Caledonia, una collettività francese d’oltremare che guarda già oltre il ballottaggio presidenziale del 24 aprile tra Emmanuel Macron e Marine Le Pen. I referendum sull’addio a Parigi (o sulla decolonizzazione, a seconda dei punti di vista) sono cominciati nel 2018, sulla base di accordi che ne prevedevano un massimo di tre. Ai primi due i favorevoli a conservare il legame con la Francia l’hanno spuntata di qualche punto percentuale. All’ultimo, nel dicembre scorso, l’affluenza si è fermata al 44 per cento a causa dell’emergenza Covid e del boicottaggio dei partiti che si richiamano all’identità del popolo melanesiano dei kanaki. Due di loro, Palika e Unione caledoniana, hanno fatto ricorso in tribunale per chiedere l’annullamento del voto e annunciato che porranno la questione del quarto referendum sul tavolo del nuovo presidente all’Eliseo. A Noumea, intanto, a segnare il primo turno delle elezioni presidenziali di domenica scorsa è stata l’astensione. A disertare Le urne sono stati infatti due caledoniani su tre, il 66 per cento, un record anche rispetto alle elezioni del 2017, quando il dato era risultato più basso di 15 punti. Tra i candidati è andata meglio a Macron, il presidente uscente, che ha ottenuto il 40 per cento delle preferenze espresse. Anche a lui si è rivolto all’indomani del voto Charles Washetine, portavoce di Palika, chiedendo un quarto referendum monitorato dal Comitato speciale dell’Onu sulla decolonizzazione. La tesi degli indipendentisti è che, accogliendo la loro richiesta, Parigi conserverebbe “influenza economica e ruolo geopolitico strategico” contrastando indirettamente l’ascesa della Cina, nel Pacifico del sud ormai “onnipresente”.  (Dire)

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